GALLURESE- GADDURESU (COSSU)
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Carta geolinguistica del vocalismo gallurese
(tavola tratta da Mauro Maxia, Fonetica storica del Gallurese e delle altre varietà sardocorse, p. 284)
INDICE
1. Atti del 3° Convegno internazionale di studi "Ciurrata di la lingua gadduresa 2015".
2. Atti del 2° Convegno internazionale di studi "Ciurrata di la linga gadduresa 2014"
3. Atti del I° Convegno internazionale di studi "Ciurrata di la linga gadduresa 2013"
4. Nota storica sul gallurese
5. Gallurese e isulanu tra Sardegna e Corsica
6. Lu tempu (Don Baignu Pes)
T E S T I
1. Atti del 3° Convegno internazionale di studi "Ciurrata di la lingua gadduresa 20152"
A distanza di un anno dalla "Terza Giornata Internazionale della Lingua Gallurese", tenutasi a Palau nel 2015, sono usciti puntualmente gli atti del convegno che verteva su aspetti sociolinguistici riguardanti i giovani e il gallurese. Si tratta di 5 contributi originali relativi alla situazione dell'Italiano sardo e gallurese tra i giovani di una comunità ai confini della Gallura (Mauro Maxia), alleConsiderazioni sul linguaggio giovanile in Gallura (Eduardo Blasco Ferrer), Il gallurese nelle rappresentazioni degli studenti corsi (Jean-Marie Comiti), a I Bucchi di Bonifaziu trà fruntiera e cuntinuità pà un mudellu sociolinguisticu à favori di i scambi trà i dui isuli (Alain Di Meglio) e Sardo, gallurese e italiano: cenni sulle dinamiche linguistiche attuali presso la comunità giovanile di Perfugas (Elton Prifti).
Per accedere gratuitamente al volume e leggere gli atti premere questo collegamento Atti def 2015 compressed (3.28 MB)
1. Atti del 2° Convegno internazionale di studi "Ciurrata di la linga gadduresa 2014". Gli atti della seconda edizione della Ciurrata internaziunali di la linga gadduresa, tenutasi a Palau il 6 dicembre 2014, sono appena stati pubblicati dall'Editrice Taphros. Si tratta di tre relazioni scientifiche presentate da Eduardo Blasco Ferrer, Jean-Marie Comiti e dallo scrivente. Il volume è a tiratura limitata e fuori commercio. Gli Atti sono pubblicati qui a disposizione degli interessati. Per leggerli è sufficiente premere questo collegamento: Atti convegno palau 2014 def (7.21 MB) Locandina convegno 2014 layout 1 (1.43 MB)
2. Atti del I° Convegno internazionale di studi "Ciurrata di la linga gadduresa 2013". Gli atti della prima edizione della Ciurrata internaziunali di la linga gadduresa, tenutasi a Palau il 7 dicembre 2013, sono stati pubblicati giusto un anno dopo all'inizio del mese di dicembre 2014 dall'Editrice Taphros. Si tratta di quattro relazioni scientifiche presentate da Massimo Pittau, Jean Chiorboli, Jean-Marie Comiti e dallo scrivente. Dei quattro saggi uno è scritto in italiano, due in francese e uno in gallurese a sottolineare l'internazionalità del convegno. Trattandosi di un volume a tiratura limitata e fuori commercio, gli Atti sono pubblicati qui a disposizione degli interessati. Per leggerli basta premere questo collegamento: Atti convegno palau pdf 4 compressed (789 KB)
Manifestu di la Primma ciurrata internaziunali di la linga gadduresa
Tempio, centro storico (foto http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=290464)
3. Nota storica sul gallurese [da Mauro Maxia, Studi sardo-corsi]
Il gallurese prende nome dall’omonima regione storico-geografica che corrisponde al settore nord-orientale dell’isola. Sotto l’apparente uniformità si cela un sistema che annovera un numero di varietà che è quasi pari a quello dei villaggi corsofoni dell’Alta Gallura scampati al grande spopolamento del XIV secolo. Le principali varietà sono rappresentate dal tempiese, o gallurese comune, e dall’aggese o gallurese occidentale. È possibile distinguere anche una sottovarietà calangianese e una varietà rustica che la popolazione inurbata dell’Alta Gallura definisce faéddu di lu pasturìu ‘parlata dell’area pastorale’.
Il gallurese comune.Il principale centro di riferimento della varietà comune è rappresentato da Tempio, la cui parlata è diffusa su quasi tutta la Gallura centro-orientale e, precisamente, nei comuni di S. Antonio di Gallura, Luogosanto, Aglientu, Arzachena, S. Teresa Gallura, Palau, Telti, Loiri-Porto S.Paolo e S. Teodoro. Nei comuni di Olbia e di Golfo Aranci il gallurese è diffuso maggiormente nell’agro mentre nei centri abitati il logudorese mostra una buona tenuta anche grazie a continui apporti dai centri sardofoni del Monteacuto e del Nuorese. Nel dominio del gallurese comune rientrano anche l’agro settentrionale del comune di Budoni e una parte di quello di Torpè; il comune anglonese di Erula; le borgate di Campudùlimu e Modditonalza del comune di Perfugas e le frange settentrionali dei territori comunali di Tula, Oschiri, Berchidda, Monti e Padru. A sud di Olbia la linea di contatto tra il gallurese e il logudorese passa tra le borgate di Su Canale (gallurese), Enas (gallurese), Berchiddeddu (gallurese), Sa Castanza (logudorese), Mamusi (logudorese), Pedru Gaias (logudorese), Li Coddi (gallurese), Monti Littu (gallurese), Azzanì (gallurese), Vaccileddi d’Ovilò (gallurese). Ancora più a sud il dominio gallurese si insinua con una penisola linguistica all’interno dei territori comunali di Budoni e di Torpè dove tocca gli agglomerati di Brunella e San Gavino. L’estremo confine meridionale del gallurese è rappresentato dal torrente detto Riu di li Cuppulati lettm. ‘rio delle tartarughe’. In tutto il territorio preso in esame il gallurese è parlato dalla maggior parte della popolazione ed è usato in quasi in tutti i contesti d’uso. A parte il citato caso di Olbia e l’isola sardofona di Luras (centro situato a poche centinaia di metri da Calangianus), si può stimare che il numero dei parlanti la varietà comune si aggiri sulle 65.000 – 70.000 persone.
L’aggese.Un’altra varietà è costituita dall’aggese, o gallurese occidentale, che ha in Aggius il suo principale centro di riferimento. Questa varietà è diffusa, oltre che nel territorio aggese, anche nei comuni di Trinità d’Agultu, Badesi, Viddalba e nell’antico agro di Vignola, una parte del quale compete al comune di Aglientu. Ad essa fa capo anche la sottovarietà bortigiadese, che prende nome dal villaggio già sardofono di Bortigiadas, la quale ingloba anche il comune anglonese di S. Maria Coghinas e un settore dell’agro di Perfugas[1]. Anche la parlata di Codaruina (capoluogo del comune di Valledoria) ha la propria base nel bortigiadese quantunque sia fortemente influenzata dal sedinese. Il numero di coloro che parlano questa varietà si può stimare in circa dodicimila unità.
Origini del gallurese. Sotto il profilo storico, una delle principali motivazioni del ripopolamento della Gallura ad opera di gruppi corsi è da individuare nel fatto che essa, essendo rimasta quasi completamente spopolata nella seconda metà del Trecento, non poteva che procurare se non rendite miserrime ai feudatari catalani dopo che avevano investito cospicue risorse economiche nella conquista della Sardegna. È implicito che l’immigrazione non solo non fosse ostacolata ma che dovesse essere favorita dalle autorità catalano-aragonesi nella prospettiva di incrementare le entrate attraverso l’insediamento di nuovi vassalli. Sul piano storico-linguistico la questione di maggior rilievo è costituita dalla mancata investigazione di una serie di fonti che attestano, fin dal medioevo, la presenza di genti corse in tutto il settentrione sardo e specialmente in Gallura[2]. Peraltro, l’analisi fonetico-storica del gallurese consentiva di accertare il grado di antichità del radicamento del corso nell’isola maggiore. L’opinione relativa alla formazione del gallurese tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento fu sostenuta specialmente da Max Leopold Wagner come conseguenza della lettura, opinabile per più aspetti, eseguita da Maurice Le Lannou sui registri parrocchiali della Gallura. In reltà il radicamento del corso, e dunque la formazione del gallurese, dovette iniziare almeno nella prima metà del Trecento.
La prima documentazione letteraria di una varietà corsa in Gallura è rappresentata da due componimenti secenteschi provenienti da Luogosanto[3]. Si tratta di due poesie i cui tratti fonetici e morfo-sintattici trovano riscontro nel corso oltremontano. I primi componimenti letterari propriamente in gallurese coincidono col corpus di poesie del religioso tempiese Gavino Pes, più noto come Don Baìgnu, la cui attività si dispiegò interamente all’interno del Settecento. Per fonetica, morfologia, sintassi e lessico le composizioni del Pes non differiscono affatto dall’odierno gallurese comune. Le uniche differenze sono date, a livello lessicale, da un certo numero di catalanismi e spagnolismi ormai in disuso. Il gallurese del Settecento presenta, dunque, forma e veste assai simili a quelle odierne. Fra i suoi tratti fonetici più significativi si rileva la costante risoluzione rk, rg > lk, lg; rt, rd > lt, ld; rp, rb > lp, lb; per es., palchí ‘perché’, impultanti ‘importante’; viltuosu ‘virtuoso’; immoltali ‘immortale’, taldá ‘tardare’, palditti ‘perderti’; impliá ‘usare, impiegare (sp. emplear) ecc[4]. Nel corso moderno questi esiti non sono affatto sconosciuti. Non mancano casi di s > r come, ad esempio, altóre ‘astore’ per astore (gall. altóri)oppure casi di r per l, come in partinaca ‘pastinaca’ per pastinaca. Ma, contrariamente al gallurese, in cui il fenomeno del lambdacismo rappresenta la regola, nel corso si tratta di esempi sporadici ben lontani, per quantità, dalla situazione dello stesso logudorese settentrionale e di ampie zone del logudorese comune che si spingono fino alla linea che unisce Bosa a Bonorva, Osidda e Budoni, tutti centri distanti da cinquanta a oltre cento chilometri rispetto ai punti di irraggiamento del fenomeno che sono da individuare, principalmente, nella città di Sassari e, secondariamente, nella zona di Tempio.
Oltre a questo peculiare aspetto, vanno segnalati altri trattamenti che, pur mantenendo il gallurese nell’àmbito del corso oltremontano, lo differenziano a tal punto da renderlo una varietà nettamente autonoma. È il caso, per esempio, della caduta della fricativa labiodentale sonora in posizione intervocalica (corso avé, móve, primavéra, gréve vs. gall. aé, muí, primmaéra, grái). Nel corso odierno anche questo fenomeno non è sconosciuto, come conferma, per esempio, la caduta di v- preceduto da sillaba atona (corso lu ’ógliu ‘lo voglio’). Ma si tratta pur sempre di scostamenti rispetto alla regola generale che invece ne vuole il mantenimento. Altri tratti caratteristici sono rappresentati dall’assimilazione progressiva del nesso -rn-, che il gallurese condivide col sardo e con l’oltremontano (gall. carri ‘carne’, turrá ‘tornare’); dal trattamento kw- > k- che appare antico (corso: questu ~ quistu, quessu, quici, quiɖɖu ~ quillu, quindeci vs.gall. chístu, chissu, chíci, chíɖɖu, chíndici); dal perfetto in -ési, -ísi documentato già nel Cinquecento.[5]
L’odierno lessico gallurese per circa il 18-20% è rappresentato da prestiti logudoresi acquisiti in tempi non facilmente precisabili; questa percentuale è molto più elevata se la si riferisce al solo lessico tradizionale. A una fase antica, forse tardo-medioevale, risalgono i nomi dei mesi (làmpata ‘giugno’, aglióla ‘luglio’, capitanni ‘settembre’, santigaìni ‘ottobre’, santandrìa ‘novembre’, natali ‘dicembre’) e di alcuni colori (biaìttu ‘blu’, niéddu ‘nero’, rùju ‘rosso’[6]). Anche il corso, trapiantato nella parte settentrionale della Sardegna, produsse un influsso notevole. Forme corse come càsciu, càsgiu ‘formaggio’ penetrarono nel logudorese come attesta la grafia caxu in alcune fonti del Settecento[7]. A confermare questa situazione sono le forme casgiadìna e cadasgìna ‘formaggella’ che vigono nella parlate di Chiaramonti e Nulvi e che vanno col gall. casgiatìna anziché col log. casadìna. Sul piano fonetico storico è possibile dimostrare che diversi sardismi sono penetrati nel gallurese prima del Cinquecento. In una forma come gall. dècchitu ‘elegante, accurato, decoroso’ si osserva il mantenimento, così come nel log. décchidu, della velare sorda intervocalica, la quale di norma avrebbe dovuto presentare il trattamento k > g almeno nella varietà aggese La verifica di questo fenomeno è offerta dal verbo derivato gall. deghì ‘confare, convenire, essere adatto’ in cui, viceversa, la velare sorda si è regolarmente sonorizzata come nel log. dèghere. Un altro esempio è offerto dall’avverbio chizzu /΄kits:u/ ‘presto, di buonora’ che non può derivare dal logudorese moderno chitto, nel qual caso il gallurese e gli altri dialetti sardo-corsi presenterebbero *chittu. La forma chizzu rappresenta un prestito, adattato nella desinenza e nel trattamento della costrittiva interdentale [th], del log. ant. kitho derivato, a sua volta, dal lat. citio per citius[8]. Poiché le ultime attestazioni di sviluppi della costrittiva interdentale diversi da t, rese anche con i grafemi s, ç, z(i), sono tutte documentate entro il Quattrocento[9], si deve ritenere che anche la variante con ts presente nel gallurese e nel sassarese sia insorta entro il medesimo periodo storico. Parecchie voci nelle quali il gallurese presenta l’affricata [ts], costituiscono dei prestiti acquisiti dal sardo logudorese in un momento in cui questa varietà non aveva ancora sviluppato l’esito dentale [t(t)] per l’affricata [th] che, viceversa, è rimasta soltanto nel nuorese e nel barbaricino. Ppoiché questo fenomeno è ben documentato e mostra di essersi concluso entro la metà del Quattrocento, se ne deve necessariamente dedurre che è entro il medesimo periodo che il gallurese dovette acquisire i prestiti in questione adattandoli alla propria fonetica nella quale la costrittiva interdentale, caratteristica del sardo antico e dell’odierno nuorese, non trovava posto bensì si trasformava in z [ts], cioè nell’affricata dentale sorda che rappresenta la consonante del corrispondente grado di articolazione del gallurese che in ciò aderisce al trattamento del corso e, in generale, dell’italiano. Questo carattere di norma generale si estende agli stessi toponimi. Per esempio, la forma Zergu, relativa a una fonte del Cinquecento[10], attesta che il toponimo logudorese ant. Thergu e odierno Tergu ha conosciuto una fase in cui la locale variante di “tipo” corso dovette affermarsi mentre in logudorese vigeva ancora la risoluzione affricata[11]. D’altra parte, la vigenza del corso in Anglona nel pieno Trecento è verificata dal toponimo Coçinas[12], nel quale il grafema cedigliato corrisponde al -k- del log. ant. Kokinas[13]. Lo sviluppo del gallurese [ts] < sardo [th] dimostra che nella fase finale del medioevo in Gallura accanto al sardo logudorese doveva vigere, forse in posizione ancora minoritaria, una varietà corsa che con l’andare del tempo si caratterizzò sempre più, attraverso ulteriori influssi del sardo ma anche del catalano e del castigliano, fino ad acquisire la veste così ben documentata nel canzoniere di Don Baìgnu. Ciò può spiegare perché, nonostante la presenza a Tempio durante il primo Seicento di numerosi individui provenienti dalla Corsica settentrionale, il dialetto locale mantenne saldamente determinate risoluzioni, ormai acquisite da un paio di secoli, e quella veste fonetica che lo caratterizza e lo rende più arcaico anche rispetto all’oltremontano dell’estremo sud-est della Corsica che, pure, ne costituisce la matrice dal punto di vista morfologico.
Già nel Settecento il gallurese era infarcito di spagnolismi e catalanismi. Per gran parte di quelle voci d’accatto va osservato che il gallurese mostra una maggiore conservatività dello stesso logudorese. È noto che l’influsso catalano nella Sardegna settentrionale cominciò ad arretrare fin dalla seconda metà del Cinquecento e che l’uso di questa lingua si protrasse fin verso la metà del Seicento ma quasi soltanto come codice linguistico delle istituzioni ecclesiastiche[14]. Quindi già nel primo Seicento il catalano doveva conoscere una fase di regresso. Donde proviene, allora, la presenza di tantissime parole catalane al gallurese?Di fronte a questi dati, si può credere, col Gamillscheg[15] e col Wagner[16], che l’immigrazione corsa in Sardegna iniziasse soltanto alla fine del sec. XVI secolo e che il gallurese si sia affermato solamente dopo una numerosa immigrazione che sarebbe avvenuta agli inizi del XVIII secolo?Purtroppo il Wagner non prestò alla questione un livello di attenzione paragonabile a quello riservato al sardo se non nel momento in cui entrò nella polemica relativa alla posizione da assegnare al sassarese e al gallurese rispetto all’italiano e al sardo[17]. Sarebbe stato sufficiente confrontare il gallurese col maddalenino, dialetto propriamente corso instauratasi prima della metà del Settecento, per rendersi conto che le due varietà dovevano necessariamente essere separate da vicende ben più ampie di alcuni decenni. Contrariamente a quanto asseriva Le Lannou, sarebbe bastato consultare con maggior attenzione i registri parrocchiali di Tempio per rendersi conto che fin dal primo anno per il quale si dispone delle relative annotazioni (1622) l’antroponimia di quello che allora era il più importante centro della Gallura era composta per circa tre quarti da cognomi di origine corsa[18]. È sufficiente leggere uno dei primi atti di battesimo registrati in Gallura[19] per rendersi conto che il sardo fungeva ormai soltanto da lingua ufficiale poiché le persone citate nella maggior parte dei casi erano corse o figli di corsi:
ad 25 de martu i6io Agios. Fran(cis)cu de su Sardu[20] figiu de Austinangnelu de su Sardu et Antolina Salvangnolu[21] est istadu baptizadu per me PP Dionisiu Isfriduzellu curadu de sa pre(sen)te villa p(resent)es sos compadrinos Jo(ann)e de li Pronelli[22] et Giurgeta Corribiancu[23].
Nel documento preso ad esempio sono attestati cinque diversi cognomi di cui neanche uno è di origine sarda. Notevole appare il fatto che in quello stesso anno anche il rettore della parrocchia, Pedru Paulu Casalabria, era un oriundo corso e che due dei tre viceparroci, compreso Dionisiu Isfriduzellu che compilò il suddetto atto di battesimo, erano oriundi della Corsica[24]. L’unico individuo di origine sarda tra i quattro religiosi in attività ad Aggius nel 1610 era il viceparroco Antoni Pinna[25].
Una lettura attenta dei registri parrocchiali consente anche di accertare che, accanto all’uso formale del sardo, gli stessi religiosi che trascrivevano gli atti nella lingua ufficiale, cioè in sardo logudorese, dovevano esprimersi tuttavia in corso o in una varietà di matrice corsa. Per esempio, nella trascrizione dei mesi, a lato dell’incerta trascrizione del sardo lampada[26], si osserva anche la presenza della grafia juniu che nelle intenzioni dello scriba doveva rendere il corso jugnu ‘giugno’[27]. Anche la grafia friargiu ‘febbraio’[28] rappresenta una forma compromissoria che, sebbene sia vicina più al sardo logudorese moderno freàrgiu (oggi freàlzu), presenta l’apofonia della vocale pretonica (-e- > -i-) come nel corso dell’estremo sud-est, friàgghju[29], che è attestato in una ristretta zona compresa tra Carbini, Sotta e Porto Vecchio e da cui procede il gallurese friàgghju. Ma a questo punto viene da chiedersi se le forme “7bre”, “8bre”, “9bre” e “Xbre” attestate correntemente nella stessa fonte[30] costituiscano, più che degli spagnolismi per septiembre, octubre, noviembre, diciembre, dei corsismi coerenti con le corrispondenti forme sittèmbri, uttòbri, nuvèmbri e dicèmbri. Soltanto per l’ultimo mese dell’anno è attestata la forma sarda Nadale[31]. La questione non è del tutto marginale, in quanto la coesistenza di forme sicuramente sarde (benargiu, martu, maju, lampada, triulas, nadale) con altre sicuramente corse (juniu) o presunte tali (“7bre”, “8bre”, “9bre” e “Xbre”) sembra attestare una fase della lotta al termine della quale anche le altre forme mutuate dal logudorese aglióla ‘luglio’, capidanni ‘settembre’, santigaìni ‘ottobre’ e santandrìa ‘novembre’ si affermarono definitivamente in gallurese soppiantando i corrispondenti nomi corsi. Degli originari nomi corsi soltanto i primi cinque dell’anno, cioè ghjinnàgghju, friàgghju, malzu, abbrili e magghju, resistettero all’influsso del sardo. Per austu non si può dichiarare con sicurezza che si tratti della medesima forma sarda poiché l’odierno corso oltremontano presenta lo stesso sviluppo austu[32] di lat. augustus.
L’ipotesi più plausibile che si possa formulare di fronte a questa situazione demografica e linguistica, così sorprendente rispetto a quanto gli studiosi ritenevano finora, consiste nel prospettare una immigrazione ben più remota rispetto ai primi anni del Seicento, dovendosi ammettere che la schiacciante maggioranza di cognomi di origine corsa non poteva essersi determinata all’improvviso. Allo stesso modo occorre considerare che la stragrande maggioranza dell’elemento corso rispetto a quello sardo nel contesto della popolazione aggese doveva necessariamente essersi affermata durante un periodo abbastanza lungo, cioè con dinamiche non dissimili da quelle che presiedettero alla corsizzazione di Sassari e Sedini. Si tratta di aspetti che, insieme ad altri cui si è fatto cenno, dimostrano come il fenomeno della corsizzazione della Gallura sia stato affrontato con approcci non adeguati rispetto ai dati reperibili nelle fonti documentarie. […] Che la migrazione corsa verso la Sardegna non si sia mai interrotta del tutto è ben documentato dal caso di S. Teresa di Gallura. Questo è infatti il centro che intrattiene maggiori contatti con la Corsica per via del regolare collegamento marittimo con Bonifacio. Non a caso, quindi, presenta rispetto agli altri centri una più alta densità di cognomi di origine corsa[33] quantunque l’abitato sia stato fondato soltanto agli inizi dell’Ottocento. Ciò vale anche sotto l’aspetto linguistico, in quanto la parlata teresina, dopo il maddalenino che è corso tout court, è quella che mostra una maggiore vicinanza al corso.
Né Wagner né altri studiosi che si interessarono della questione prestarono particolare attenzione alla citazione del Fara sulla situazione demografica della Gallura nella seconda metà del Cinquecento[34]. Questo autore, infatti, mentre scriveva che la Gallura era completamente disabitata, intendeva riferirsi alla rarefazione di centri abitati. Infatti, poi precisava: ‘...multique ex illis pastoriciam et agrestem cum tota familia in montibus degunt vitam, mille greges illi totidemque armenta per herbas pascunt...’[35] ‘..molti di essi conducono una vita agreste sui monti insieme con le loro famiglie e portano al pascolo migliaia di armenti…’. Si tratta di una descrizione che corrisponde abbastanza fedelmente a quella offerta da Vittorio Angius per gli anni ’30-’50 dell’Ottocento. Se è vero che degli antichi centri abitati restavano soltanto quelli di Terranova, Aggius, Bortigiadas, Calangianus, Luras, Nuchis e Tempio, il territorio risultava interessato da un diffuso insediamento sparso. La presenza di molti pastori con le rispettive famiglie va letta come una testimonianza dell’esistenza del ‘modulo abitativo’ dello stazzo fin dal Cinquecento. Le campagne della Gallura, dunque, era popolate da un numero piuttosto elevato di famiglie, il quale va stimato in rapporto al numero degli armenti. E poiché il Fara parla di migliaia di branchi, si può concludere che già nel 1580 nella Gallura vivevano alcune migliaia di pastori (corsi) con le loro famiglie. Anche se questo dato potrebbe fare sorgere qualche perplessità, sotto il profilo demografico va considerato che nella seconda metà del ’500 il livello della popolazione europea toccò un apice che, dopo le carestie e le epidemie del ‘600, fu raggiunto soltanto verso la metà del ‘700. Ora un censimento spagnolo effettuato nel 1583, i cui dati sono stati pubblicati recentemente,[36] conferma questo quadro attribuendo alla Gallura Geminis (escludendo cioè il semidistrutto villaggio di Terranova e il suo agro disabitato) un numero di fuochi compresi fra 1.765 e 1.942. Moltiplicando questi dati per tre o per quattro si ottiene un numero di abitanti compreso fra i 5.300 e 7.700 che si dimostra coerente con la testimonianza del Fara. Tutto ciò concorda pienamente con la distribuzione della popolazione gallurese alla metà del Novecento allorché, mentre si consolidavano i “nuovi” agglomerati di Arzachena, Aglientu, Badesi, Bassacutena, Berchiddeddu, Loiri, Luogosanto, Palau, S. Pantaleo, S. Pasquale, S. Teodoro d’Oviddè, Telti, Trinità d’Agultu, Viddalba, la campagna era ancora fittamente abitata dai pastori e dalle loro famiglie che occupavano oltre duemila stazzi. Quindi è da escludere che la migrazione corsa iniziasse soltanto alla fine del Cinquecento o durante il Seicento, come credevano Gamillscheg, Le Lannou e Wagner Al contrario, il popolamento delle campagne costituiva già da allora una realtà ben radicata, originatasi progressivamente a seguito dell’abbandono dei villaggi galluresi che, come è risaputo, avvenne in gran parte durante il quarantennio compreso fra la pandemia del 1347-48 e il 1388, anno in cui fu siglata l’ultima pace fra la Corona d’Aragona e i Sardi riuniti sotto la casata d’Arborea alleata con i Doria. La presenza corsa in Gallura è documentata già in pieno Trecento. Un passo di una importante fonte catalana, il Compartiment de Sardenya, relativo probabilmente al 1358, attesta il salto gallurese di Cassari nel quale “los Corsos e altres homens … tenen aqui bestiar”[37]. Questo aspetto si desume per altro verso, considerando il forte influsso prodotto dal sassarese e dal gallurese nei confronti del logudorese. Il fatto più eclatante è rappresentato dalla formazione del nuovo dialetto che va sotto il nome di logudorese settentrionale. Anche in questo caso le opinioni degli studiosi che si sono avvicinati al problema, i quali attribuirono all’influsso toscano e continentale l’origine dei fenomeni fonetici e dei fatti lessicali che lo caratterizzano, appaiono da rivisitare in larga parte.
In primo luogo si deve porre l’attenzione su un dato generalmente trascurato e cioè che l’influsso italiano nella Sardegna settentrionale cessa, per quanto riguarda il toscano, entro la prima metà del Trecento e, per quanto attiene al genovese, entro la metà del Quattrocento. Difficilmente si può ritenere che le ridotte correnti culturali italiane che ancora fino al ‘500 toccarono ristrette fasce sociali potessero produrre particolari influssi sulla lingua del popolo.
Santa Vittoria del Sassu (Perfugas). Il più antico documento in gallurese (sec. XV)
Le prime occorrenze delle palatalizzazioni cominciano ad essere documentate, sotto forma di interferenze, in testi logudoresi durante la prima metà del ’400 nel Codice di S. Pietro di Sorres[38]. Per quanto riguarda il passaggio l > r nel sassarese la prima documentazione risale al primo ’500[39]. […]
L’immersione linguistica e onomastica alla quale la comunità corsofona è andata incontro in Sardegna rappresenta uno dei maggiori problemi che finora hanno ostacolato gli studiosi nella conoscenza della complessiva questione legata all’immigrazione corsa in Sardegna. Non è un caso che fino alla fine del Seicento non si posseggano attestazioni dell’odierno gallurese nonostante che almeno da un secolo la Gallura fosse abitata da immigrati corsi il cui numero superava largamente quello dei sardi[40].
Da un punto di vista antroponomastico, sebbene finora del fenomeno venisse offerta una lettura del tutto insufficiente, la corsizzazione della maggior parte della Gallura deve ritenersi un fatto acquisito fin dal Cinquecento se non dal secolo precedente. Sotto il profilo linguistico la situazione dell’antroponimia tempiese, calangianese e aggese durante il Seicento semplifica il quadro delle ipotesi finora avanzate dagli studiosi.
Per quanto riguarda il periodo durante il quale si verificarono le ondate migratorie più consistenti, gli elementi a disposizione consentono ora di intravedere un arco cronologico che, a grandi linee, sembra corrispondere a quello dell’immigrazione dall’isola vicina verso Sassari e Sedini, centri nei quali l’elemento corso, che doveva essere cospicuo già nel Quattrocento, soppiantò con certezza quello sardo entro il terzo decennio del Cinquecento. Gli indizi che si possiedono sulla situazione gallurese vanno nella medesima direzione, poiché le scarne fonti cinquecentesche ritraggono quasi sempre individui di origine corsa.
Ma che il gallurese andasse acquisendo la sua particolare veste fonetica fin dal Quattrocento si desume dal confronto linguistico e, in particolare, dalla cronologia del trattamento [ts]rispetto a lessemi che in sardo presentavano th. Ora l’analisi delle forme cognominali di origine toponomastica conferma che la maggior parte di immigrati dalla Corsica proveniva dal settore meridionale di quest’isola. La presenza di un cospicuo gruppo di cognomi originari del Nord-Est ha lasciato anch’essa delle attestazioni linguistiche che incrinano la solida convinzione circa il fatto che il gallurese rappresenti una filiazione tout-court della varietà parlata nell’estremo sud della Corsica. I seguenti esempi tratti dall’ALEIC possono dimostrare come il gallurese per determinati fenomeni concordi col corso cismontano piuttosto che con l’oltremontano.
1) Per il pronome personale di prima persona (‘io’) il gallurese ha éu come i dialetti della valle di Alisani e della zona di Bastia (eu) mentre l’oltremontano presenta éju, géju.
2) Per ‘mano’ il gallurese ha manu come il cismontano (escluso il capocorsino) mentre l’oltremontano presenta mani.
3) L’assordimento -ğ- > -č- della varietà calangianese ha dei riscontri nella fascia mediana che unisce Rennu e Antisanti mentre l’assordimento -b- > -p- ha un confronto nelle varietà parlate lungo la linea Vicu-Bocognano-Fiumorbu.
4) La sonorizzazione di -f- > -v- ha riscontri più puntuali nel cismontano (es.: u vènu ‘il fieno’) mentre nell’oltremontano prevale l’esito u βénu[41].
5) Il lessema gall. ciòanu ‘giovane’ ha corrispondenza soltanto col comune di Cozzano (ciòuanu) che si trova lungo il confine linguistico tra cismontano e oltremontano.
6) L’esito kj > ts che si realizza nella varietà di Aggius ha riscontro, oltre che nel bonifacino, nella varietà di Soccia, villaggio che si trova lungo il confine linguistico tra cismontano e oltremontano.
7) La sonorizzazione -k- > -γ- del dialetto di Aggius es.: lu góɖɖu ‘il collo’) è realizzata nelle varietà intermedie di Ciamannaccia, Sampolu, Cozzano e Poggio di Nazza (u góɖɖu).
8) La sonorizzazione -p- > -b- (es. abbrili ‘aprile’) ha piena corrispondenza col cismontano mentre l’oltremontano ha aprili.
9) Il lessema gall. paési ‘paese’ ha riscontro lungo il litorale di Ajaccio e nella fascia mediana che unisce la Cinarca al Fiumorbu mentre nell’estremo sud prevale pajési, paésu.
10) Il lessema gall. stélla ‘stella’ ha piena corrispondenza nel cismontano mentre l’oltremontano presenta esiti tra stédda e stìɖɖa.
Alla luce di questo quadro l’ipotesi più congrua che possa prospettarsi consiste nel contemplare il precoce radicamento in Gallura - segnatamente nell’antico agro di Tempio, dove la presenza di pastori corsi è documentata fin dal Trecento - di una varietà corsa a base oltremontana. Questa varietà, introdotta da gruppi provenienti dall’Alta Rocca, dall’Alto Taravo, dal Tallano e dai territori di Sotta e Figari, dovette interagire a lungo col preesistente sardo logudorese acquisendo la maggior parte dei sardismi del lessico tradizionale che vigono tuttora in gallurese. Probabilmente entro la metà del Quattrocento i sardismi che prevedevano th furono acquisiti dalla nuova varietà con adattamenti che prevedono ts.
Progressivamente la massa pastorale di antica origine corsa dovette inurbarsi nei superstiti villaggi dell’Alta Gallura ma soprattutto a Tempio, il centro in cui si andava consolidando un insieme di attività amministrative, commerciali e religiose. Questi gruppi di più antica immigrazione, una volta fusisi con i preesistenti nuclei autoctoni, non dovettero sentirsi più corsi sviluppando così quel concetto di sé che oggi porta i galluresi a definire li Saldi ‘i Sardi’ gli altri corregionali e li Cossi ‘i Corsi’ gli abitanti della Corsica. Si spiega così l’origine di quei toponimi galluresi che fanno riferimento all’etnico còssu ‘corso’ e a li Cossi ‘i Corsi’, i quali ormai venivano percepiti come un’etnia diversa da parte dei galluresi veri e propri[42]. Le origini di questo particolare sentire potrebbero forse intravedersi già in un documento della seconda metà del Quattrocento che riferisce di parecchi corsi, uomini e donne, nati in Sardegna e che come tali chiedevano il riconoscimento degli stessi privilegi goduti dagli altri Sardi[43]:
“...en moltes parts, viles e lochs en lo dit nostre regne de Serdenya ha alguns corsos qui tenen mullers sardes, cases e lurs domicilis e habitacions en aquelles, e altres qui son fills dels dits corços e sardes e de corços e corçes, nats en lo dit regne de Cerdenya, lo quals pretenen per privilegi de aquell regne, puix en lo dit regne son nats e sos pares e ells tenen llur domicili e habitació...”
‘...in molte parti, villaggi e località del suddetto nostro regno di Sardegna vi sono alcuni corsi che hanno mogli sarde, case e il proprio domicilio e abitazioni in quelle (stesse parti), e altri che sono figli dei suddetti corsi e sarde e di corsi e corse, nati nel suddetto regno di Sardegna, i quali pretendono gli stessi privilegi di quel regno, poiché in quello stesso regno sono nati e vi sono pari ed essi vi hanno il domicilio e le abitazioni...’.
I successivi gruppi provenienti dalla Corsica poterono apportare delle innovazioni di carattere fonetico o lessicale, tra le quali i ligurismi introdotti dai bonifacini[44], ma i tratti caratteristici del nuovo idioma, scaturito dall’incontro del corso oltremontano con la varietà di sardo logudorese parlata in Gallura, dovettero assorbire la gran parte delle particolarità dialettali introdotte da gruppi meno coesi. Dovette trattarsi di una dinamica analoga a quella che può osservarsi attualmente nella parlata della Maddalena dove il fondo corso oltremontano e l’elemento ligure bonifacino si arricchiscono di italianismi, di galluresismi e di sardismi mantenendo tuttavia i i tratti costitutivi della parlata. Ciò può spiegare l’omologazione linguistica subita dalla pur cospicua componente cismontana documentata nel Settecento a Tempio.
4. Gallurese e isulanu tra Sardegna e Corsica
Il fine contiene le immagini e il commento della Conferenza tenuta dallo scrivente a La Maddalena il 22-3-2013.
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5. Lu tempu (Don Baignu Pes, 1724-1795)
Palchì no torri, dì, tempu passatu?
Palchì no torri dì, tempu paldutu?
Torra alta 'olta, torra a fatti meu,
tempu impultanti, tempu priziosu,
tempu, chi vali tantu cant'è Deu
pa’ un cori ben fattu e viltuosu.
Troppu a distempu, o tempu caru, arreu
A cunniscitti, oh pesu aguniosu!
Cantu utilosu mi saristi statu,
tempu, aènditi a tempu cunnisciutu!
Palchì no torri, dì, tempu passatu? ecc…
Monti Pulchiana (foto: http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?)xsl=626&id=143581)
Tempu, ch’in cuntinu muimentu
poni tutta la to' stabbilitai,
chi la to' chietù, lu to' assentu
cunsisti in no istà chietu mai,
ritruzzedi pal me ch'era ditentu,
Candu passesti, da un sonnu grai:
Ah! si turrai, tempu malgastatu,
chi bè, chi t'aarìa ripaltutu!
Palchì no torri, dì, tempu passatu? ecc…
Tempu, chi sempri in gjusta prupulzioni
di lu to’ motu in gjiru andi a la sfera,
n'aggji di me, ti précu, cumpassioni,
ritorrami a prinzipiu di carrera;
di l'anni mei l'ultima stasgioni
cunveltil'alta 'olta in primmaera.
L’esse lu ch’era a me sarà nicatu,
ch'insensibili tanti ani uttinutu?
Palchì no torri, dì, tempu passatu? ecc…
L'alburu tristu senza fiori e frondi,
vinendi maggju, acchista frondi e fiori:
a campu siccu tandu currispondi
un beddu traciu d'allegri culori;
supelvu salta di ‘arru li spondi
riu d'istìu poaru d'umori:
e l’anticu vigori rinuatu
no sarà mai in un omu canutu?
Palchì no torri, dì, tempu passatu? ecc…
La salpi 'ecchja chidd'antichi spoddi
lassa, e si 'esti li so' primmi gali;
da li cìnnari friti, in chi si scioddi,
chidda famosa cedda orientali
rinasci, e tantu spiritu rigoddi,
ch'agili come prima batti l'ali:
e l’animu immultali rifulmatu
no vidarà lu so' colpu abbattutu?
Palchì no torri, dì, tempu passatu? ecc…
La notti è pal vinè, la dì s'imbruna
candu lu soli mori in occidenti;
a luci poi torra tutt'in una
candu rinasci allegru in orienti:
e la suredda, la candida luna,
da li mancanti torra a li criscenti:
e un omu cadenti in chiddu statu
no de' turrà, da undi è diccadutu?
Palchì no torri, dì, tempu passatu? ecc…
Tempu dispriziatu, torra abali,
ch’aggju di ca se’ tu cunniscimentu;
torr'oggji chi cunnoscu cantu 'ali,
chi pruare’ tutt'altu trattamentu.
Ah! d'aetti trattatu tantu mali,
no possu ditti cantu minni pentu!
Cunniscimentu, ah cant’ai taldatu!
A passi troppu lenti se’ 'inutu!
Palchì no torri, dì, tempu passatu? ecc…
No timì, tempu meu, d'impliatti
in bassi e falsi immaggjnazioni,
in fa' teli di ragni, o in chiddi fatti
cuntrari a lu bon sensu, a la rasgioni,
in chimèri, in dillìrii, in disbaratti,
muttìi di la me' paldizioni.
N'aggji cumpassioni, tempu amatu,
d'un cori afflittu, confusu e pintutu.
Palchì no torri, dì, tempu passatu? ecc…
Di dugna stanti toiu appruvittà
voddu, senza passacci ora oziosa:
ne pensu più palditti in cilibrà
li grazii, li primori d'una rosa,
ch'in brei in brei a cunniscì si dà
cantu è vana, caduca, e ispinosa.
Dulurosa mimoria, ch'ispuddatu
m'ai di gusti, e di peni 'istutu!
Palchì no torri, dì, tempu passatu? ecc…
Si cuminciàa di nou a viì,
dia usà diffarenti eccunumia:
nè paltìcula mancu di la dì,
senza implialla be', passacci dia:
chi ben pruìstu, innanzi di murì,
pa l'ultimu 'iaggju mi sarìa.
Oh alligria! oh tre volti biatu,
tempu, candu da te fussi attindutu'
Palchì no torri, dì, tempu passatu?
Palchì no torri dì, tempu paldutu?
Manifestu di lu Cunvegnu "Il vino a Badesi" (Badesi 2013)
Pal vidé lu manifestu piggjà innantu a chistu link: Il vino a badesi (951.79 KB)
Data ultimo aggiornamento: 12/05/2020