SOCIOLINGUISTICA
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INDICE
1. Sa limba est de chie dda chistionat
2. La situazione sociolinguistica nella Sardegna settentrionale
3. Una inchiesta sociolinguistica territoriale
1. Sa limba est de chie dda chistionat Revista: Làcanas annu de s'imprenta: 2011 |
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(suntu) S'artìculu cuntenet unas crìticas a certos critèrios impreados in sa cherta soiolinguìstica de su 2006 e a unas faddinas chi in parte nde cumpromitint is èsitos. Pro bìdere s'artìculu carcare custu link: Sa limba est de chie dda chistionat (66.09 KB)
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2. La situazione sociolinguistica nella Sardegna settentrionale
L'articolo riflette il contenuto della relazione tenuta alla Conferenza della lingua sarda del 2008, i cui atti sono stati pubblicati nel volume "Sa diversidade de sas limbas in Europa, in Itàlia e Sardigna" (Bilartzi 2010, pp. 58-79).
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3. Una inchiesta sociolinguistica territoriale[1]
Negli ultimi decenni il processo di italianizzazione delle lingue regionali ha subito una forte accelerazione tanto da metterne in serio pericolo la stessa conservazione. Da tempo studiosi e operatori richiamavano l’attenzione dei legislatori sull’opportunità di adottare strumenti atti a tutelare le espressioni delle culture regionali e locali che, in modo concettualmente non dissimile dalle specie animali e arboree in pericolo di estinzione, rappresentano una fonte di ricchezza come patrimonio culturale della comunità umana. Anche le autorità religiose, segnatamente le Conferenze Episcopali del Veneto, del Friuli e del Trentino e Alto Adige, hanno individuato nelle lingue minoritarie e nei dialetti un tesoro di tradizioni e sapienza che sarebbe deleterio disperdere e, nello spirito del Concilio Vaticano II, vanno introducendo nella liturgia della chiesa locale la messa in veneto e friulano. Oggi anche la lingua della Sardegna – entità geografica nella quale vanno comprese sia le varietà principali, logudorese e campidanese, sia quelle alloglotte come il catalano di Alghero ed eteroglotte come il sassarese, il gallurese e il ligure tabarchino delle isole sulcitane – corre i medesimi pericoli. Le più recenti indagini sociolinguistiche evidenziano la progressiva e forte erosione che l’italiano, a quasi tutti i livelli, produce su queste varietà linguistiche “minori”.
Sotto l’aspetto culturale e linguistico
La scuola italiana appare in ritardo rispetto a questo approccio e, anzi, ha costituito forse uno dei fattori non secondari del progressivo regresso delle lingue minoritarie e dei dialetti venendo meno a uno dei principi dell’insegnamento che già Seneca duemila anni orsono teorizzava in una sua celebre frase: Non scholae, sed vitae discimus. La scuola, peraltro, ha la funzione di preparare le nuove generazioni al dialogo con tutti: con le persone del proprio villaggio, della propria regione e con quelle delle comunità allargate a livello statale, europeo e mondiale. Vi è chi opina che in questi tempi è prioritario lo studio delle lingue straniere e che i dialetti ormai fanno parte del passato. Ma è ormai un concetto diffusissimo che, come non si può impostare seriamente uno studio del presente se prima non si conosce il proprio passato, allo stesso modo non si possono apprendere bene le lingue straniere se non si conosce bene il proprio codice linguistico.
La “diversità” è da accogliere come una opportunità di arricchimento e come momento di confronto con le altre realtà. In tale contesto, la valorizzazione delle culture e delle lingue locali rappresenta una imprescindibile occasione di crescita democratica. D’altronde, non si può fare a meno di considerare che le lingue locali presenti nello stato italiano sono altrettanto meritevoli di salvaguardia e valorizzazione di quelle presenti in altre realtà territoriali, per esempio quelle delle tribù amerindie, per le quali si mobilita l’interesse di organizzazioni internazionali. Anche nel territorio del nostro Stato e della Comunità Europea esistono emergenze antropologiche culturali e linguistiche che, sebbene non siano sempre ben conosciute e considerate come meriterebbero, hanno tuttavia diritto al rispetto e alla tutela.
Mentre si va verso una società plurietnica e plurilingue, i nuovi ordinamenti della scuola materna prevedono l’accoglienza e la valorizzazione delle differenze espressive esistenti nelle singole località. Anche i programmi didattici per la scuola primaria del 1985 prevedono lo studio delle basi storiche della propria cultura e il rispetto dell’uso del dialetto in funzione dell’identità culturale del proprio ambiente sia anche per riconoscere le interferenze esistenti fra codice linguistico locale e codice linguistico ufficiale, le quali spesso impediscono un corretto apprendimento di quest’ultimo. Si tratta di indirizzi confermati anche dalla legge n. 148/90.
La legge regionale 15.10.1997, n° 26 (Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna) si pone, fra l’altro, l’obiettivo generale di sostenere la formazione scolastica degli allievi e l’aggiornamento del personale docente e direttivo delle scuole che, nell’ambito dell’esercizio dell’autonomia didattica, intendano svolgere attività coerenti con i principi in essa enunciati. Tale obiettivo si inquadra nella funzione che il titolo IV della legge regionale n.26/97 attribuisce alla Amministrazione Regionale relativamente alla promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna. In particolare, tali obiettivi sono regolati da criteri elencati all’art.20, relativi al finanziamento delle spese sostenute dalle scuole per la sperimentazione diretta alla valorizzazione e allo studio della cultura e della lingua della nostra isola.
La nuova normativa regionale sulla cultura e sulla lingua della Sardegna, peraltro, coincide significativamente con la fase di avvio dell’autonomia scolastica, della quale i perni sono rappresentati proprio dalla sperimentazione didattica e dalla rivalutazione del rapporto fra scuola e territorio circostante, soprattutto per quanto attiene al recupero dei valori culturali di cui esso è portatore. Tale obiettivo, del resto, è perfettamente coerente sia con l’art. 6 della Costituzione Italiana, il quale prevede la tutela delle minoranze linguistiche, sia con le correnti pedagogiche e di pensiero che hanno rivalutato l’importanza della conoscenza dei saperi delle comunità locali. L’Istituto Comprensivo di Perfugas ha voluto, appunto, dare un contributo originale in tale direzione presentando l’iniziativa che qui si illustra.
L’utenza osservata nel corso dell’indagine è costituita, anzitutto, dagli alunni delle scuole dei tre comuni di Perfugas, Erula e Laerru posti lungo la linea di contatto tra i domini sardo e gallurese. Anche al corpo docente dell’istituto, che si articola in scuole materne, primarie e secondaria di I grado, è stato somministrato un blocco di quesiti. Infine l’indagine si è allargata al contesto extrascolastico coinvolgendo i genitori degli alunni.
Sul piano socio-economico la situazione delle tre comunità presenta notevoli differenze. Il comune di Perfugas ha una popolazione che rappresenta il 61,2% del dato complessivo mentre i comuni di Laerru ed Erula rappresentano rispettivamente il 20,2% e il 18,6%. Il comune di Laerru presenta un costante decremento demografico che negli ultimi quarant’anni ha causato la perdita di un terzo della popolazione. Il comune di Erula è stato costituito soltanto nel 1988 per distacco dal comune di Perfugas e con l’aggregazione di un settore già appartenuto al comune di Chiaramonti. Il comune di Perfugas, fatta eccezione per la diminuzione di abitanti verificatasi col distacco di Erula, dal
Sotto il profilo storico i rapporti tra le comunità sardofone di Perfugas e Laerru, talvolta contraddistinti da un vivace campanilismo, occasionalmente si spostavano anche sul piano linguistico. Oltre ai blasoni popolari di questi due centri, Pérfugas-panza lettm. ‘perfughesi pancioni’[2] e Laerru-pompa ‘laerresi vanagloriosi’, le occasioni di denigrazione dei laerresi verso i perfughesi erano offerte in genere dalla particolarità dell’articolo plurale che nella parlata di Perfugas tende all’uscita promiscua in –as ovvero in –es per un influsso del gallurese che prevede l’uscita unica in –i (es.: perf. sai màscios o sei màscios ‘i maschi’ e sai féminas o sei féminas ‘le femmine’[3] vs. gall. li masci, li fèm(m)ini lettm. ‘i femmini’). I perfughesi, viceversa, chiamavano in causa sia la tipica pronuncia interdentale della sibilante nella parlata laerrese che ricorda quella del castigliano sia la caratteristica locuzione A òso! che corrisponde al detto Campa cavallo che l’erba cresce.
Relativamente alla comunità corsofona, essa appare stanziata nell’altopiano del Sassu (comune di Erula e agro di Perfugas) già intorno alla metà del XV secolo[4]. Un documento del 1779, relativo ai confini del comune di Perfugas, elenca una serie di toponimi che presentano delle forme galluresi[5]. Vittorio Angius nel 1846 coglieva la situazione di bilinguismo esistente nel comune di Perfugas che quel visitatore metteva a lemma col toponimo logudorese Pérfugas e la sua pretesa variante gallurese Perfigas[6].
Attualmente la corsofonia di questo settore sud-orientale dell’Anglona interessa tutto il territorio comunale di Erula dove si parla una varietà riferibile al gallurese comune (tempiese) seppure influenzata dal logudorese dei vicini centri sardofoni di Perfugas, Chiaramonti e Tula[7]. Il gallurese comune è parlato anche nelle borgate di Modditonalza e Campos d’Ulimu situate nell’agro di Perfugas. Sempre nell’agro di questo comune le borgate di Lumbaldu, Sas Tanchittas (
Per quanto riguarda i rapporti tra la comunità sardofona e quella corsofona, nel centro di Perfugas (sardofono) si conoscono dei casi di corsofoni, rappresentati da alcune signore sposate con uomini perfughesi, che sostengono di non capire il sardo costringendo così gli interlocutori sardofoni a parlare in gallurese o in italiano. In qualche caso i figli di queste coppie bilingui parlano il gallurese anziché la locale varietà logudorese del sardo. Quest’ultimo aspetto rappresenta un’inversione di comportamento rispetto a poche decine di anni fa quando i corsofoni per integrarsi pienamente a Perfugas dovevano imparare a parlare il sardo per evitare di incorrere in motti di scherno e perfino di disprezzo da parte della popolazione sardofona che in qualche caso considerava socialmente inferiori i corsofoni dell’agro[8]. L’accresciuto prestigio del gallurese sembrerebbe dipendere dagli enormi progressi economici verificatisi in Gallura grazie agli insediamenti turistici realizzati a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso.
Una dinamica analoga, già analizzata in altre realtà linguistiche[9], si osserva sempre a Perfugas nel rapporto tra sardofonia e italofonia. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso i pochi bambini che parlavano in italiano, pur appartenendo in gran parte al ceto medio-superiore, sul piano socioculturale non erano considerati in termini positivi dalla comunità locale[10]. Anche nei rapporti con gli italofoni di provenienza esterna come insegnanti, medici e altre figure professionali non disponibili localmente le persone del posto usavano quasi esclusivamente la propria parlata sardo-logudorese. La lealtà linguistica[11] della comunità perfughese verso il proprio idioma era talmente forte che alcuni immigrati di altre regioni italiane e persino degli stranieri, tutti sposati con persone del posto, spesso imparavano la lingua locale. Sono rimasti nell’aneddotica locale dei casi relativi a codesti italofoni, la cui lingua coincideva spesso con una varietà di italiano regionale, e agli strafalcioni proferiti nei loro tentativi di apprendere il sardo. Nondimeno erano stigmatizzati i tentativi di qualcuno della comunità locale quando tentava di imparare l’italiano e che, a causa del mistilinguismo caratterizzato da evidenti improprietà lessicali, esponeva costoro allo scherno e al dileggio della comunità.[12] Quella varietà di italiano regionale sardo, non meno rozza di quella vigente attualmente accanto al sardo e al gallurese, era etichettata con la formula italianu porcheddinu lettm. ‘italiano maialesco’.
Ad iniziare dagli anni Ottanta e ancora di più nel decennio successivo l’atteggiamento della comunità locale verso l’italofonia si è andato modificando velocemente. Alla fine degli anni Novanta, quantunque il giudizio nei confronti del sardo sia restato sostanzialmente positivo, la comunità locale si è orientata in modo sempre più massiccio verso l’italofonia quasi per un’esigenza di adeguamento a un trend fortissimo innescato da input e modelli provenienti dall’esterno, specialmente dalla televisione.
Il giudizio negativo con cui la comunità perfughese tendeva a stigmatizzare i bambini italofoni vige tuttora ma nei confronti di coloro che si sforzano di parlare un italiano vicino allo standard anziché usare la varietà di italiano regionale sardo vigente nella zona. In altri termini la comunità locale denota disponibilità verso chi si esprime in una varietà di italiano in cui i sardismi, specie quelli morfosintattici, rappresentino un elemento di appartenenza a un cluster che prevede un italiano fortemente sardizzante. Ad esempio, è considerata corretta un interrogativa diretta a struttura destrorsa del tipo “Ajó: venendo stai?” che rappresenta un calco del logudorese “Ajó: benzende ses?” lettm. ‘dài, venendo sei?’. La forma realmente corretta prevista dall’italiano standard “Stai venendo?” oppure “Vieni?” sono percepite come estranee alla varietà di italiano che la comunità perfughese, in modo non dissimile dalle altre comunità sardofone, hanno elaborato in questi ultimi decenni. Varietà che si caratterizza in effetti come una sottovarietà dell’italiano regionale sardo e che presenta tratti distintivi, sia sul piano fonetico che morfosintattico, rispetto alle altre sottovarietà che si vanno affermando nelle diverse aree in cui si articolano il sardo e la zona eteroglotta sardo-corsa. Si può affermare che ciascuna area dialettale del sistema sardo, pur concorrendo a formare una varietà standardizzata di italiano regionale sardo, si caratterizzi per alcuni peculiari fenomeni riconducibili a una sorta di reazione di sostrato che in un futuro non lontano potrebbe riproporre, con l’italiano al posto del sardo, la stessa articolazione dialettale odierna. Prodromi di questa nuova situazione si colgono in certi motti di scherno che i neoitalofoni a base sardo-logudorese rivolgono agli italofoni a base gallurese. Ad esempio, una locuzione del tipo “Mi si è guasto lo scaldabanghio” lettm. ‘il mio scaldabagno si è guastato’ tende, da parte di un sardofono, a evidenziare la pronuncia dialettale del nesso gn che i corsofoni galluresi rendono, a seconda delle parlate locali, con gli sviluppi /nŋ/, /nġj/, /nğ/.[13]
Tornando all’inchiesta, l’aspetto di maggior rilievo è rappresentato dall’aver condotto un’indagine basata esclusivamente su dati scientifici, verificabili e interpretabili da parte di chiunque.[14] È evidente che adottando questa metodologia – purtroppo rara in Sardegna – si esce dal campo della soggettività e delle illazioni per entrare in quello delle certezze che fotografano una realtà che può piacere o meno, a seconda dei punti di osservazione. Si può dire che il progetto dell’Istituto Comprensivo di Perfugas precorre di qualche anno un desideratum dell’amministrazione regionale che tra i suoi obiettivi ha inserito quello di conoscere l’attuale situazione del sardo e delle altre varietà parlate nell’isola specialmente per quanto riguarda il loro uso sul piano quantitativo e qualitativo.[15]
Forse i risultati scaturiti dall’indagine, a causa della grave situazione che descrivono, avrebbero soddisfatto i fautori dell’emarginazione delle lingue minori e dei cosiddetti dialetti che, secondo un’ottica che ha imperato a lungo, avrebbero minacciato il corretto apprendimento della “lingua nazionale”, cioè dell’italiano. Oggi questo aspetto appare secondario, benché non sfugga a nessuno che la realtà odierna è frutto – in parte ma non soltanto – anche di quell’atteggiamento dialettofobo. Nell’odierna società, sicuramente più evoluta rispetto a quella di soli trent’anni fa, c’è molta attenzione a tutto ciò che rischia di essere perduto, si tratti di piante, animali o aspetti anche materiali della nostra o delle altre culture. E a nessuno sfugge che la lingua, nel contesto di questo discorso, rappresenta una delle espressioni più evidenti, se non la più pregante, di una cultura.
Uno degli aspetti che, tra gli altri, meritano di essere approfonditi è costituito dalla risposta che gli alunni hanno dato al quesito “Secondo te, il sardo dovrebbe essere parlato di più?”. Quesito al quale soltanto il 25% degli alunni, benché non fossero stati sensibilizzati al problema, ha risposto in modo negativo mentre oltre il 60% ha risposto con un giudizio favorevole. Come mai, allora, se una generazione di alunni compresa tra i cinque e i quattordici anni di età è nettamente favorevole all’uso del sardo, la stragrande maggioranza dei loro genitori si sforza di cancellare una lingua che i propri figli vorrebbero parlare? Non a caso il risultato complessivo dell’indagine evidenzia il serio pericolo di estinzione che il sardo corre non soltanto nelle città maggiori, dove da alcuni è ormai percepito quasi come una lingua estranea, ma negli stessi villaggi dove fino a trenta anni fa questa lingua era parlata da almeno i quattro quinti della popolazione.
Dalle risposte offerte dal personale docente sono emerse prospettive più che lusinghiere, forse anche inaspettate sul piano quantitativo. Naturalmente si deve tener conto delle differenze esistenti tra l’atteggiamento, cioè delle dichiarazioni rese dagli intervistati, e il comportamento rilevato.[16] In alcuni casi si è potuto osservare come alcuni insegnanti, invero pochi, nonostante in sede di collegio dei docenti avessero votato a favore dell’introduzione dell’insegnamento sperimentale del sardo e del gallurese, nei fatti hanno opposto una resistenza talvolta passiva e in qualche caso addirittura fattiva affinché il progetto non fosse attuato nei termini in cui era stato deliberato all’unanimità. Questa circostanza era stata preventivata sulla base di precedenti ricerche riguardanti le opinioni e gli atteggiamenti degli insegnanti.[17] In particolare si era valutata la possibilità che, da un lato, alcuni insegnanti potessero autocensurare i propri giudizi effettivi mostrando un atteggiamento positivo verso le lingue locali in quanto socialmente più apprezzabile. Dall’altro, come si accennava, pur senza ricorrere a metodiche specifiche come il matched guise,[18] si è potuto osservare in taluni un comportamento opposto o incoerente rispertto alle opinioni manifestate.
Il passaggio dalla fase teorica, rappresentata dal corso di formazione, a quella pratica ha posto in evidenza una serie di problematiche. In particolare, si sono incontrate delle difficoltà nella gestione della sperimentazione curricolare del sardo anche per mancanza di modelli e, soprattutto, di strumenti di lavoro. La produzione di materiali forse è stata inferiore alle attese. Sono stati creati dei tabelloni, si sono rappresentati alcuni testi teatrali sia all’interno della scuola che in rassegne regionali. Durante l’ultimo anno della sperimentazione, coincidente con l’anno scolastico 2003-04, è stato messo a punto, grazie all’impegno dell’esperto Nino Fois, un canovaccio che, una volta pubblicato, potrebbe fungere da sussidiario locale per l’insegnamento del sardo e del gallurese nei prossimi anni.[19]
Un senso di inadeguatezza è stato segnalato da gran parte del personale insegnante forse come riflesso di una mancata formazione superiore o universitaria. In effetti, né gli istituti magistrali né le università formano gli odierni insegnanti nell’ambito disciplinare in questione sul piano della didattica. Ad esempio, salvo rarissimi casi, non si dispone di risultati di inchieste che descrivano in modo puntuale l’odierna situazione linguistica sarda. In generale, si tende a ripetere concetti espressi dal Wagner, ormai vecchi di oltre cinquanta anni, che rappresentano una base per la conoscenza sul sardo sul piano storico, meno da altre angolazioni. Neanche i lessici pubblicati di recente, pur nella loro meritorietà, possono aspirare a rappresentare la complessiva realtà sardofona. Non esistono corsi universitari di dialettologia sarda specialmente in relazione alle varietà sardo-corse che pure interessano circa duecentomila parlanti. Si osservano insufficienze anche per quanto riguarda l’insegnamento della sociolinguistica e della psicolinguistica relazionate alla specifica realtà sarda.
Soltanto adesso, dopo decenni di atteggiamento miope, si comincia a intravedere il disastro linguistico e culturale che mina alle radici le ragioni stesse dell’autonomia regionale in quanto viene a mancare forse l’elemento più caratterizzante dell’identità di qualunque popolo che aspiri a forme di autogoverno. La sola Sicilia, tra le regioni autonome dello Stato italiano, non usa una lingua diversa da quella ufficiale mentre le altre autonomie (Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia) si connotano proprio per l’esistenza di minoranze linguistiche. Ora, poiché il gallurese e il sassarese, per tacere del ligure tabarkino, sono delle varietà che, sebbene risentano di un influsso più o meno forte da parte del sardo, per un gran numero di fenomeni partecipano al sistema linguistico corso e dunque italiano, nel caso che il sardo si estinguesse la prospettiva sembrerebbe quella di una Sardegna destinata entro qualche decennio ad avere come unica minoranza linguistica quella rappresentata dal catalano di Alghero, nel caso che questa minoranza non si estinguesse.
I risultati complessivi prodotti dall’inchiesta travalicano per molti aspetti l’orizzonte locale per proporsi alla riflessione generale. Intanto essi sono rappresentativi della zona di contatto tra Logudoro e Gallura che si sviluppa lungo una linea che congiunge le coste orientale e occidentale della Sardegna e, oltre ai comuni di Perfugas ed Erula, attraversa gran parte dell’agro di Sassari e i comuni di Tergu, Bulzi, Tula, Oschiri, Berchidda, Monti, Padru, Budoni, Torpè e le isole linguistiche sardofone di Luras e Olbia con l’agro di Golfo Aranci.
Al di là del rapporto tra lingue locali e lingua ufficiale, uno dei temi che vengono proposti all’attenzione del lettore, ma anche dell’insegnante, dello studioso e del politico, è relativo all’interazione tra il gallurese e il sardo.[20] Oggi il sardo, grazie alla legge n. 492/1999 gode finalmente dello status di minoranza linguistica che gli offre una serie di opportunità tra le quali anche quella dell’insegnamento di questa lingua nelle scuole. Il gallurese, invece, a causa della sua prevalente natura di idioma corso e italiano, difficilmente può ambire a un analogo riconoscimento che, se accolto, trasformerebbe di fatto tutte le comunità dialettofone italiane in altrettante minoranze linguistiche. Lo status attuale delle varietà sardo-corse, cioè di quelle parlate di matrice corsa che si parlano nella Sardegna settentrionale e che subirono il fortissimo influsso sardo, può essere definito come una composita eteroglossia. Concetto, questo, che gli studiosi usano per designare quelle comunità che, pur appartenendo a un macro-dominio linguistico (in questo caso l’italiano), vengono a trovarsi per ragioni storiche e geografiche nella condizione di minoranze all’interno di un’altra minoranza di quello stesso dominio linguistico (in questo caso il sardo). In effetti il gallurese potrebbe godere delle stesse opportunità che la legge n. 482/1999 concede al sardo qualora, anziché magnificare tutto ciò che lo separa dal sardo, la comunità galluresofona valorizzasse tutto ciò - e non si tratta di poco - che lo accomuna al sardo. Un atteggiamento di questo tipo, oltre che continuare a promuovere una convivenza proficua come lo è stata per molti secoli tra la comunità sardofona e quella corsofona, potrebbe attivare delle dinamiche interrelazionali che rappresenterebbero il risultato più naturale e ovvio di un rapporto osmotico che di fatto ha finito col fondere in modo inestricabile le due etnie. Insomma, gli interessi dei Sardi sono gli stessi dei Corsi e viceversa come diceva, con spirito lungimirante, Pasquale Paoli in una lettera scritta oltre due secoli orsono.
Un discorso a parte meriterebbe la fase di sperimentazione dell’insegnamento curricolare del sardo e del gallurese attuato nei tre anni scolastici dal 2001-02 al 2003-04.[21] Nonostante alcune inevitabili difficoltà di percorso, la sperimentazione è giunta positivamente a termine conseguendo il duplice obiettivo che il progetto si proponeva: 1) formare in situazione una parte del personale docente; 2) far riprendere ai bambini confidenza con la lingua e la cultura locale da cui gli effetti della globalizzazione li stanno velocemente allontanando.
La pubblicazione dei dati esce a distanza di quasi cinque anni dalla loro rilevazione, la quale si colloca all’interno del periodo novembre 2000 - marzo 2001. L’elaborazione di una massa imponente di dati, pari a oltre 42.000 risposte, ha richiesto quasi un anno di lavoro. Per un verso, il tempo trascorso potrebbe rendere non del tutto attuali i dati raccolti per una inchiesta che ha dimostrato in sé la forte dinamica involutiva che caratterizza in questo momento storico l’uso della lingua locale nel contesto sardo. Per certi versi questo ritardo rappresenta un riflesso delle scarse forze in campo. All’interpretazione dei dati si è lavorato in concomitanza con l’insegnamento sperimentale del sardo e del gallurese. Aspetto, quest’ultimo, che ha rappresentato l’interfaccia dell’indagine che, forse, sarebbe stato utile e interessante ripetere a distanza di cinque anni per verificare presso la stessa utenza se e quali orientamenti avessero subito dei cambiamenti. Ma già il fatto di avere portato a termine l’inchiesta e il poterne oggi proporre i risultati rappresenta una piccola impresa.
Non vi è che da sperare, continuando a operare nel solco tracciato, affinché la positiva esperienza maturata dagli alunni possa continuare a produrre effetti durante il successivo percorso scolastico e nella loro vita da adulti.
Al personale docente che ha collaborato, talvolta anche con passione,[22] alla realizzazione del progetto e agli operatori che hanno attuato l’elaborazione dei dati in totale spirito volontaristico[23] non si può che esprimere un sincero ringraziamento con l’auspicio che questa esperienza non resti un fatto isolato ma possa essere rinnovata con uguale impegno negli anni a venire[24].
L’Indagine
2.1 Obiettivi.
In relazione all’inchiesta sull’uso dei codici linguistici da parte degli alunni, dei loro genitori e del personale insegnante, il progetto si è prefisso l’obiettivo di osservare i seguenti aspetti:
- l’uso dei tre codici linguistici presenti localmente sotto il profilo quantitativo (quanti parlanti?) e le tendenze per il prossimo futuro;
- i rapporti tra i codici linguistici vigenti nei tre comuni sottoposti a indagine (sardo, gallurese e italiano) e la condizione di bilinguismo e/o diglossia;
- le competenze linguistiche attive e passive degli intervistati sia attraverso la loro percezione e autovalutazione metalinguistica sia attraverso il confronto incrociato di una serie di risposte;
- il grado di consapevolezza sull’importanza dell’uso dei codici locali e gli atteggiamenti di promozione e/o censura specialmente da parte degli insegnanti;
- una serie di conoscenze culturali funzionali alle competenze linguistiche da parte degli alunni della scuola secondaria di I grado.
Tutti e tre i questionari predisposti per l’inchiesta avevano, oltre a quella di acclarare notizie e situazioni specifiche per le quali si rimanda ai singoli quesiti, anche la finalità di testare presso la complessiva utenza (insegnanti, alunni, famiglie) il gradimento riguardo all’introduzione dell’insegnamento sperimentale dei due codici locali accanto all’italiano. I risultati lusinghieri, forse anche inattesi, scaturiti dall’inchiesta con l’85% degli insegnanti e il 78% dei genitori favorevoli all’insegnamento del sardo e del gallurese, hanno confortato la dirigenza e il collegio dei docenti dell’istituzione scolastica rispetto all’introduzione a carattere sperimentale dell’insegnamento di durata triennale del sardo e del gallurese, peraltro già deliberata in precedenza.
2.2 Insegnanti
Al personale insegnante sono stati rivolti 8 quesiti tendenti ad accertare i seguenti aspetti/notizie:
1: codice materno
2, 3, 4: competenza nel codice materno e in altre varietà
5: conoscenza di lingue straniere
6: situazioni d’uso
7, 8: atteggiamento verso l’insegnamento delle lingue locali
2.3 Alunni
Per quanto riguarda l’indagine rivolta agli alunni sono stati esclusi, per motivi connessi alla condizione prescolare e ad altri parametri facilmente intuibili, i bambini delle prime due classi di età della scuola dell’infanzia. Ai bambini dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado sono stati somministrati dei blocchi di domande che nell’indice dei questionari (v.) vanno dal quesito n. 1 al n. 30. Preliminarmente agli alunni sono stati sottoposti due quesiti di carattere statistico.
Le domande non sono state organizzate secondo un rigido schema logico al fine di indurre risposte il più possibile spontanee e di evitare che gli intervistati potessero esprimere giudizi di tipo sequenziale, cioè che offrissero risposte condizionate da quelle precedenti.
Appartengono alla sfera sociolinguistica le domande 2-10, 13-14, 19, 21-30 mentre i quesiti 1, 11, 12, 15-18 e 20 hanno contenuti psicolinguistici.
Riguardo ai contenuti le singole domande tendono a cogliere i seguenti aspetti:
1: autovalutazione del livello di competenza in uno dei due codici locali
2: codice materno
3. lingua parlata dai genitori
4-10: situazioni d’uso
11-12: alternanza e cambio di codice
13: valutazione sull’importanza delle due lingue locali rispetto all’italiano
14: valutazione sullo studio dei due codici locali a scuola
15: autovalutazione del livello di competenza attiva in uno dei due codici locali
16: intercomprensione tra parlanti varietà diverse
17: interazione con parlanti varietà diverse (competenza comunicativa)
18-20: atteggiamento della famiglia verso le due lingue locali
21-24: gradi di competenza in uno dei due codici locali
25-28: atteggiamento nei confronti della cultura sarda
29: eventuale promozione dell’uso del sardo e del gallurese
30 disponibilità a impegnarsi in una attività (teatro) che può indurre/potenziare la competenza attiva in uno dei due codici locali.
30-35: conoscenze minime di contenuto culturale (solo per gli alunni della scuola secondaria di I grado).
2.4 Genitori
Ai genitori degli alunni è stato somministrato un questionario suddiviso in due blocchi di domande. Nel primo blocco i quesiti da
1-5: informazioni sulla lingua sarda
6-7: cognizioni sulle capacità di apprendimento linguistico dei bambini
8: conoscenza del sardo e del gallurese
9: lingua parlata dai genitori (nonni degli alunni)
10: situazioni d’uso
11: codice materno
12-14: bilinguismo/diglossia
15-16: atteggiamento verso il sardo e il gallurese
17-20: disponibilità verso l’editoria/mass media su alcune espressioni della cultura sarda
2.5 Condivisione
Il progetto, sia per quanto riguarda l’indagine sull’uso dei codici linguistici che per l’insegnamento sperimentale del sardo e del gallurese, fu approvato all’unanimità dal collegio dei docenti (delibera del 18.2.1999) e dal consiglio di istituto (delibera del 19.2.1999). Il progetto nella sua stesura definitiva, di durata triennale, fu approvato dalla Giunta Regionale e finanziato dall’Assessorato della Pubblica Istruzione attraverso la determinazione n. 1410 del 1 giugno 2000.
Durante le varie fasi in cui si è articolata l’inchiesta non sono emersi particolari problemi. Il livello di adesione da parte del personale insegnante è stato quasi unanime.[25] Tra i genitori soltanto pochi non hanno restituito il questionario. Relativamente agli alunnni, nonostante l’assistenza degli insegnanti durante la compilazione dei questionari, a seconda delle difficoltà poste da taluni quesiti si sono avute delle mancate risposte che sono state inserite nel database con la sigla “NR” (‘non risponde’). In determinati casi il numero delle astensioni rasenta lo zero, in altri assume dimensioni anche significative sul piano quantitativo. Si tratta quasi sempre di astensioni dovute al fatto che, quando la domanda era rivolta ai sardofoni, i corsofoni non si sono pronunciati e viceversa. Mediamente il numero di astensioni si presenta più alto nella classe terminale della scuola materna e nelle prime due classi della scuola primaria. La circostanza era stata prevista, per ovvi motivi legati all’età degli intervistati, ma per ragioni legate alla complessiva economia dell’indagine si è optato per un questionario unico per tutti e tre gli ordini scolastici. Peraltro, questa scelta ha consentito di confrontare opinioni, giudizi e aspettative di quasi quattrocento alunni di tre comunità compresi in una fascia di età dai cinque ai tredici anni.
2.6 Formazione del personale insegnante
La fase della rilevazione è stata preceduta da un corso di formazione del personale insegnante che si svolse dall’11 settembre al 2 ottobre 2000. Come relatori furono chiamati i professori dell’Università di Sassari Ignazio Delogu, Massimo Pittau e Nicola Tanda ai quali furono affiancati alcuni esperti su singoli aspetti disciplinari (Michele Pinna, Giulio Cossu, Bachisio Solinas, Franco Fresi e Salvatore Patatu) oltre allo scrivente coordinatore.
2.7 Preparazione e somministrazione dei questionari
I questionari sono stati allestiti dal coordinatore tenendo conto di modelli largamente diffusi e accettati dalla comunità scientifica come, ad esempio, quello predisposto dall’Osservatorio Linguistico Siciliano. Alcuni quesiti hanno uno specifico carattere locale.
Nel questionario rivolto agli alunni una serie di quesiti ha carattere duplice in quanto è stata rivolta, rispettivamente, agli alunni sardofoni e a quelli corsofoni. In tutti e tre i questionari alcuni quesiti prevedono risposte multiple con la finalità di coprire il ventaglio più ampio possibile di opzioni da parte degli intervistati. Alcune domande, specie tra quelle dei questionari rivolti agli insegnanti e ai genitori, sono di tipo “aperto” nel senso che sollecitano risposte di contenuto.
Tutti i quesiti sono finalizzati ad accertare la situazione dei due codici locali, i rapporti tra di essi e di questi ultimi con l’italiano. Relativamente all’italiano il questionario si limita a un’osservazione passiva senza indagare direttamente le opinioni degli intervistati che, tuttavia, si desumono attraverso le risposte offerte in relazione al sardo e al gallurese.
L’indagine è iniziata il 14 novembre del 2000 con la consegna dei questionari al personale insegnante. Questa prima fase si è conclusa nell’arco di una settimana.
La seconda fase, relativa alla rilevazione di notizie e opinioni riguardanti gli alunni, è iniziata nella seconda settimana del mese di gennaio del 2001 e si è protratta per tutto il mese.
L’inchiesta extrascolastica, esperita attraverso il questionario sottoposto ai genitori degli alunni, si svolse durante l’ultima settimana di marzo del 2001.
2.8 Risultati
Per quanto attiene i rapporti tra i tre codici in uso nelle tre comunità locali l’indagine ha posto in evidenza la pressione sempre più forte esercitata dall’italiano nei confronti delle due lingue locali e specialmente rispetto al sardo.
Laerru. Tra gli alunni della classe terminale della scuola materna si è rilevata la presenza di un solo bambino sardofono rispetto ai nove alunni iscritti. Nella scuola primaria gli alunni sardofoni risultano 32 su 51 ma, mentre nel secondo ciclo (classi 3, 4, 5) il rapporto tra sardofonia e italofonia è di
Perfugas. Nell’ambito dei tre comuni la situazione del comune di Perfugas è quella più complessa. Al capoluogo, che è a grande maggioranza sardofono,[26] fa riscontro l’agro quasi esclusivamente corsofono.[27] Ancora, la scuola media è frequentata anche dagli alunni di Erula e Laerru e da quelli della borgata di Tisiennari che è una frazione del confinante comune gallurese di Bortigiadas (corsofono). Nella scuola primaria le due lingue locali risultano usate complessivamente da 73 alunni su 121 iscritti. Tra i due codici locali il rapporto è in ragione di 47 sardofoni rispetto a 26 corsofoni. A questo riguardo si deve considerare che gli alunni corsofoni corrispondono quasi esattamente al numero degli alunni provenienti dalle famiglie corsofone e da alcune famiglie del capoluogo in cui la madre è corsofona. Viceversa, gli alunni italofoni provengono in gran parte da famiglie sardofone. E infatti il rapporto tra sardofonia e italofonia è di
Erula. Nella scuola materna 4 alunni su 5 parlano in gallurese. Nella scuola primaria il gallurese è parlato da 31 alunni su 36 iscritti (86%); i restanti alunni non corsofoni corrispondono a 3 sardofoni provenienti da altri centri e a 2 italofoni. Nella scuola secondaria di I grado tutti gli alunni provenienti da Erula parlano il gallurese. La situazione di Erula è in assoluto la migliore essendo i casi di italofonia ridotti soltanto a due (5,5%). Il fenomeno dell’abbandono della lingua locale, così avanzato nella comunità di Laerru e presente in modo significativo anche a Perfugas, non incide se non in misura irrilevante nella comunità di Erula.
2.9 Prospettive
I risultati dell’indagine mostrano come nella comunità corsofona di Erula, la quale si presenta come un compatto cluster di parlanti in rete, la varietà locale si mantiene saldamente e al momento non si intravedono particolari rischi.
Nella comunità sardofona di Laerru, al contrario, l’estinzione del sardo e l’adozione del codice monolingue italiano rappresentano, salvo improbabili inversioni di tendenza, una prospettiva del tutto realistica nell’arco delle prossime due generazioni.
A Perfugas il rapporto tra i due codici locali (maggioranza logudorese, minoranza gallurese) e l’italiano corrisponde, rispetto a 10, ai valori 5:3:2 che fanno di questo centro una comunità trilingue. La tendenza all’abbandono del sardo a favore dell’italiano si mostra molto forte mentre il gallurese palesa una buona tenuta. In prospettiva la situazione di Perfugas, se non interverranno fattori capaci di contrastare la tendenza in atto, prefigura l’estinzione del sardo e l’adozione dell’italiano come lingua materna contestualmente a una residuale persistenza della minoranza corsofona. Un elemento di novità giunge da un consistente gruppo di giovanni nati negli anni Ottanta e in gran parte educati in italiano che ha deciso di ri-parlare in sardo con risultati talvolta inattesi. Essendo questo fenomeno in atto è difficile prevedere quali potranno esserne gli esiti e, soprattutto, se esso avrà la forza di invertire o frenare il trend generale di segno negativo per il sardo.
Nel complesso l’indagine dimostra che le prospettive per il sardo sono di tipo infausto non soltanto nelle città, dove il sardo è percepito ormai da molti quasi come lingua estranea, ma anche nelle piccole comunità locali. Se la situazione osservata in relazione alla comunità di Laerru e in parte a quella di Perfugas fosse confermata da ulteriori indagini negli altri paesi sardofoni, così come si propone una recente decisione della Regione Sarda, la situazione si presenterebbe talmente compromessa da richiedere, da parte delle autorità politiche regionali, misure coraggiose. La legge regionale n. 26/1997 e la stessa legge n. 492/1999 finora non hanno apportato benefici tali da invertire il trend che vede il progressivo e assai veloce abbandono del sardo. Certe misure messe in atto nel tentativo di frenare questa tendenza, come l’offerta di corsi di lingua sarda, non hanno sortito esiti di particolare rilievo.[29] La dimostrazione che l’istituzione scuola non fa abbastanza proviene dal fatto che nella scuola secondaria di I grado di Perfugas certe conoscenze basilari, come i regni giudicali e
La prospettiva per cui entro i prossimi dieci-quindici anni potrebbero non esservi quasi più ragazzi sardofoni appare realistica. Al momento di stampare gli esiti della ricerca (2006) nella comunità sardofona di Laerru sono ormai dieci anni che il sardo non viene più insegnato ai bambini dai rispettivi genitori e anche nella comunità di Perfugas la situazione appare molto seria.
Si profila, dunque, una nuova situazione in cui – una volta abbandonata la lingua con la quale si ressero le istituzioni indipendenti che caratterizzano la storia dell’isola – al posto del sardo sarà parlato un codice forse ancor meno prestigioso definito dagli studiosi “italiano regionale sardo”. Una varietà, quest’ultima, strutturalmente povera ma al contempo ricca di sardismi morfosintattici che avrà più i caratteri di un dialetto che non quelli di una lingua come quella che si sta abbandonando.
Se effettivamente le autorità politiche regionali ritengono che la lingua sarda rappresenti un elemento fondante dell’identità e dell’autonomia regionale soltanto il suo insegnamento obbligatorio potrebbe evitarne, superando una serie di obiezioni e distinguo che hanno contribuito a delegittimarne l’uso, la prossima e irreversibile estinzione.
[1] Questo articolo riprende, aggiornandolo, la parte introduttiva del volume Lingua Limba Linga, Indagine sull’uso dei codici linguistici in tre comuni della Sardegna settentrionale [Condaghes, Cagliari 2006].
[2] Alla base del blasone popolare di Perfugas era la presenza endemica della malaria che provocava il rigonfiamento dell’addome tipico di questa malattia.
[3] Molti dei nati durante gli ultimi quarant’anni pronunciano sa mmàscios o se mmàscios e sa fféminas o se fféminas con l’assimilazione della sibilante sorda dell’articolo alla consonante iniziale della parola successiva secondo una tendenza che si è affermata in gran parte del Logudoro occidentale e che in Anglona si riscontra a Chiaramonti e a Martis. Non sono pochi tuttavia i parlanti che utilizzano correttamente le forme masch. sos, femm. sas previste dallo standard sardo logudorese.
[4] Un’epigrafe presso la chiesetta di Santa Vittoria del Sassu (Perfugas), databile tra il 1445 e il 1470, rappresenta la più antica documentazione di una varietà corsa in Sardegna; cfr. M. Maxia, L’operaiu e l’eremita. La più antica testimonianza del dialetto gallurese in Sardegna, in “Almanacco Gallurese”, n. 10, 2002-03; pp. 310-323.
[5] Cfr. M. Maxia, I confini del villaggio di Perfugas in un inedito manoscritto spagnolo del Settecento, pp. 163-177. Tra le forme più notevoli si segnalano
[6] Cfr. V. Angius, in G. Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna, XIV, Torino
[7] Per maggiorni dati sulla varietà di Erula cfr. M. Maxia, Fonetica storica del gallurese e delle altre varietà sardocorse, Olbia, Taphros 2012.
[8] È ancora vivo il ricordo del motto di disprezzo che i perfughesi rivolgevano agli abitanti corsofoni del Sassu: Sassesu maccu! lettm. ‘abitante del Sassu scemo!’. Non si tratta di un pregiudizio di contenuto linguistico ma socioculturale determinato da una presunta inferiorità di coloro che abitano in campagna. Un preconcetto analogo caratterizzava fino a pochi decenni orsono i rapporti tra gli abitanti di Tempio e quelli che risiedevano nel suo vastissimo agro, i quali erano etichettati con la formula “li di lu pasturìu” ‘quelli dell’area pastorale’.
[9] Berruto, Fondamenti di sociolinguistica, pp. 111-112 (cf. Bibliografia).
[10] Un aspetto estremo di tale situazione era rappresentato dal fatto che per impartire degli ordini ai cani si usavano degli slang in italiano del tipo tè qua Parigi’ lettm. ‘tieni qui (il boccone) Parigina’ oppure passa via Murrinie’ ‘vai via Murrinieddu’ (nome di cane = ‘muso nero’).
[11] Per questo concetto cfr. Berruto, Fondamenti di sociolinguistica, p. 225 (cf. Bibliografia).
[12] Per rendere un’idea di quale potesse essere la situazione sociolinguistica verso la metà del secolo scorso si accenna a un episodio che ebbe per protagonista un giovane di Perfugas al rientro dal servizio militare da Trapani (città che nella parlata perfughese era resa con la forma Tres Panes lettm. ‘Tre Pani’) dopo oltre un anno di lontananza dal paese. Trattandosi di un giovane semianalfabeta e sempliciotto, durante l’anno di permanenza in Sicilia egli aveva appreso qualche rudimento del dialetto trapanese per cui, incontrando nuovamente la propria madre, le aveva chiesto in italiano e con una forte inflessione siciliana: “Chi siete voi, mia matri?”; al che la madre rispose: “Ohi, fizu meu: mesu maccu ses andadu e maccu e mesu ses torradu!”‘Ahi, figlio mio: sei partito mezzo scemo e sei tornato scemo e mezzo!”. In altri termini l’abbandono della lingua locale poteva essere giudicato in certi casi estremi come una forma di squilibrio mentale in quanto equivaleva all’estraniarsi dai valori di base della comunità, al collocarsi fuori da un mondo in cui i ruoli e i valori dovevano essere rigidamente rispettati soprattutto dagli strati popolari.
[13] Per questi aspetti specifici si rimanda a Maxia, Fonetica storica cit.
[14] I questionari compilati dagli insegnanti, alunni e genitori sono conservati presso l’Istituto Comprensivo di Perfugas.
[15] Questa frase è da contestualizzare rispetto al periodo dell’edizione del volume (2006) che precedette di alcuni mesi la divulgazione dei dati dell’inchiesta sociolinguistica regionale.
[16] Lo Piparo, Franco Lo Piparo, Introduzione a
[17] Galli de Paratesi, Lingua ambrosiana in bocca toscana, Il Mulino, Bologna 1984; Grassi, Sobrero, Telmon, Fondamenti di dialettologia italiana, p. 265 (vedi Bibliografia).
[18] Lambert et Altri, The study of language attitudes, 1960 (vedi Bibliografia).
[19] Nelle prime due annualità hanno collaborato come esperti anche la prof.ssa Clara Farina e il prof. Salvatore Patatu.
[20] Cfr. Maxia, Tra sardo e corso. Studi sui dialetti del Nord Sardegna, Magnum-Edizioni, 2^ ediz., Sassari 2003; Id., I Corsi in Sardegna, Edizioni Della Torre, Cagliari 2006.
[21] Non è semplice dare un’interpretazione della reazione mostrata da circa cinquanta genitori, poi ridottisi a una trentina, i quali, non paghi di impedire ai propri figli di apprendere il sardo e il gallurese, pretendevano che il progetto venisse confinato in ambito extracurricolare col pretesto che la sperimentazione, pur essendo limitata a due sole ore alla settimana, avrebbe sottratto tempo all’apprendimento di materie più importanti. Si tratta, è vero, di una piccola minoranza rispetto ai 615 genitori intervistati (6,5%) e anche nei confronti dei 136 genitori che - a fronte dei 441 favorevoli (78%) - nel questionario hanno dichiarato di non considerare importante l’introduzione del sardo a scuola. L’episodio, che ebbe anche un certo risalto anche sulla stampa regionale, potrebbe essere dovuto alla particolarissima situazione linguistica che caratterizza il territorio in cui l’istituzione scolastica è chiamata a operare. Non sembra un caso che la maggior parte dei contestatori, benché siano tutti residenti a Perfugas, non sono originari di questo centro.
[22] Un ringraziamento particolare vada alla prof.ssa Agnese Satta, alle inss. Maria Giuseppa Deiana e Maria Franca Maxia per l’attività di insegnamento delle due lingue locali e, soprattutto, all’ins. Agostina Marras sia per l’impegno profuso nella valorizzazione del gallurese sia per la collaborazione offerta allo scrivente su specifici aspetti della corsofonia nell’altopiano del Sassu.
[23] L’immissione dei dati nel database è avvenuta a cura del geom. Vincenzo Ceccarelli, dipendente dell’Istituto Comprensivo di Perfugas, e dalle signorine Giorgia Sechi e Cristina Martini che hanno offerto la propria opera a margine di un corso di formazione professionale. L’elaborazione dei dati è stata curata dall’ins. Enrico Loche, esperto di tecnologie multimediali presso il medesimo istituto, mentre il dott. Giangiacomo Milia, esperto informatico e programmatore, ha predisposto il database e realizzato le elaborazioni grafiche confluite nel volume Lingua Limba Linga (cf. Bibliografia). Tutti gli operatori hanno prestato la propria opera gratuitamente. Il coordinatore, inoltre, ha rinunciato a favore dell’Istituto Comprensivo di Perfugas ai propri diritti sull’edizione del citato volume.
[24] Per la convinta adesione al progetto e per la promozione di altre iniziative tendenti alla valorizzazione delle lingue locali, specialmente i corsi di lingua sarda per adulti e le tre edizioni del concorso letterario regionale Iscola Sarda durante il periodo 2000-2005, un plauso vada al prof. Italo Deperu, dirigente scolastico al momento dell’attuazione dell’inchiesta e dell’insegnamento sperimentale del sardo e del gallurese.
[25] Tra il personale docente si verificò un solo caso di mancata restituzione dei questionari da parte di un insegnante di matematica e scienze secondo cui il proprio ambito disciplinare non sarebbe stato interessato dal progetto.
[26] Nel centro urbano, considerando che il numero di italofoni autoctoni e alloctoni si aggira intorno ai 350-450 utenti e che quello dei corsofoni si stima intorno a 300-350, l’utenza sardofona può corrispondere a circa 1300 persone.
[27] Il sardo è parlato solo nello stazzo di Corra Meana (2 utenti). Nelle borgate del Sassu gli ultimi sardofoni, concentrati nel nucleo di Modditonalza, sono morti intorno agli anni Settanta del secolo scorso. Complessivamente il numero dei corsofoni si aggira intorno a 380 persone che, sommate a quelli residenti nel capoluogo, formano un’utenza corsofona pari a circa 700 persone.
[28] È tipico delle comunità corsofone il forte attaccamento alla lingua materna Nello stesso centro urbano di Tempio è normale trovarsi a dialogare con impiegati, professionisti e talvolta anche con insegnanti in gallurese. Spesso i sardofoni che non si adattano a questo comportamento si lamentano di tale situazione. In realtà la lealtà linguistica dei tempiesi e degli altri galluresi corsofoni rappresenta una della dinamiche più efficaci per la difesa e la valorizzazione della lingua locale. Se anche i sardofoni facessero altrettanto oggi il sardo non correbbe particolari rischi di estinzione.
[29] Si ricordano, ad esempio, i corsi tenuti a Sassari tra gli anni Settanta e Ottanta, da S’Iscola Sarda che ebbero l’effetto di produrre una certa sensibilizzazione ma che si mostrarono quasi nulli sul piano pratico.Pochi anni fa a Perfugas per due anni consecutivi l’Istituto Comprensivo di Perfugas organizzò un corso di lingua e letteratura sarda. Nonostante gli utenti dovessero pagare una quota di iscrizione e frequenza, peraltro modica, il corso fu frequentato mediamente da 20-25 persone. Il successo di questa iniziativa tuttavia va confrontato con altri corsi, organizzati contestualmente, di informatica e inglese. Nel primo caso, nonostante la quota di iscrizione e frequenza fosse doppia rispetto a quella prevista per il corso di lingua e letteratura sarda, gli iscritti sfiorarono i duecento. Anche nel secondo caso gli iscritti superarono i cinquanta.
[30] La stessa opinione è espressa, in riferimento ai dialetti italiani da Grassi, Sobrero, Telmon 1988: 245, n. 45: “In realtà, comportamenti per principio o di fatto antidialettali nella scuola media sono continuati ben oltre quella data (1962), e continuano tuttora, anche se sono mascherati da un’adesione dicharata ai programmi del ’62 e a quelli, successivi, del 1979.
Data ultimo aggiornamento: 27/11/2015