FILOLOGIA

[in allestimento - contivigiende]

 INDICE 

1. Introduzione e commento linguistico al Condaghe di San Michele di Salvennor

2. Una "patata" indigesta

3. La supplica dell’arciprete di Civita al governatore del Regno di Sardegna e Corsica (1346) 

4. L'inventario di S. Maria degli Angeli di Pérfugas.

5. Per la riedizione del Condaghe di San Michele di Salvennor

6. Il testamento di Leonardo Tola

7. Il Condaghe di Luogosanto

 

Csms 1. Introduzione e commento linguistico al Condaghe di San Michele di Salvennor

Per gentile concessione dell'Editore Condaghes, metto qui a disposizione dei visitatori l'introduzione e il commento linguistico che precedono la mia edizione del Condaghe di San Michele di Salvennor. L'edizione integrale è disponibile nel sito https://www.ibs.it/condaghe-di-san-michele-di-libro-mauro-maxia/e/9788873561859.

Per leggere l'Introduzione premere questo collegamento Csms introduzioneCsms introduzione (9.86 MB)

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Monte cannuja ploaghe 2. Una "patata" indigesta

L’articolo, appena uscito nella "Rivita Italiana di Onomastica", fa chiarezza sul significato di un oronimo medievale sardo (Patata de Cunucla) che nell'edizione critica del Condaghe di San Michele di Salvennor curata da Paolo Maninchedda e Antonello Murtas è ritenuto una forma priva di senso. Attraverso il confronto con grafie coeve, con numerosi oronimi attestati nella toponimia e con esempi tratti dalla lingua viva, la discussione mostra come la grafia in questione anche al giorno d’oggi presenti un significato trasparente e facilmente comprensibile (lettm. 'pianoro della conocchia'). Per completezza della discussione si può proporre di identificare l'antico oronimo con l'odierno Monte Cannuja di Ploaghe che presenta lo sviluppo cannuja dell'antico cunucla. Per leggere l'articolo premere questo collegamento: 608 610 maxia patata608 610 maxia patata (210.63 KB)

Una "patata" mala a digirire. S'artìculu, essidu in custas dies in sa "Rivista Italiana di Onomastica", iscrarit su significu de un'orònimu sardu de s'edade de mesu (Patata de Cunucla) chi in s'editzione crìtica de su Condaghe de Santu Miali de Salvennor, curada dae Paolo Maninchedda e Antonello Murtas, est crètida una forma chentza sensu. Peri su cunfrontu cun grafias de su tempus, cun paritzos orònimos presentes in sa toponimia e cun esempios bogados dae sa limba bia, s'arrejonu mustrat comente sa grafia in chistione finas a dies de oe presentat unu significu ladinu e fàtzile a cumprèndere (lettm. 'sèttile de sa cannuja'). Pro cumpletesa de s'arrajonu si podet propònnere de sebestare s'orònimu antigu in su Monte Cannuja chi s'agattat in Piaghe e presentat s'isviluppu cannuja dae s'antigu conucla. Pro bìdere s'artìculu sighire custu culligamentu 608 610 maxia patata608 610 maxia patata (210.63 KB).

An indigestible “potato”. This article aims to shed light on the meaning of a medieval Sardinian place name, Patata de Cunucla. In a critical edition of the source it is considered a meaningless form. The author proposes a comparison with other contemporary sources, which include many place names attested in the Sardinian toponymy and examples from the current language. The explanation shows that the place name in question still has a transparent and easily understandable meaning. To read the article press this link  608 610 maxia patata608 610 maxia patata (210.63 KB)

 

3. La supplica dell’arciprete di Civita al governatore del Regno di Sardegna e Corsica (1346) 

© Mauro Maxia 2014-2021

La supplica dell’arciprete di Civita al governatore del Regno di Sardegna e Corsica (1346)*

0. Premessa.

L’articolo descrive una serie di questioni storico linguistiche relative a una supplica inviata dall’arciprete e vicario spirituale dell’antica diocesi di Civita (oggi Olbia)[1] a Guglielmo de Cervellón, governatore del Regno di Sardegna e Corsica. Si tratta di un atto che riveste un’importanza non secondaria per cercare di ricostruire la situazione linguistica della Gallura in un periodo cruciale della sua storia. Prima di descriverne il contenuto si riportano le abbreviazioni impiegate: ant. antico; c. carta; cat. catalano; cfr. confronta; cit. citato, -a; cor. còrso; f. foglio; gall. gallurese; l. linea; log. sardo logudorese; mod. moderno; n. numero; p. pagina; r. recto; s. scheda; sar. sardo; sass. sassarese; sed. sedinese; seg. seguente; tosc. toscano; v. verso; vol. volume.

1. Il documento.

La prima e finora unica notizia su questo documento fu fornita da Giovanni Spano.[2] Il documento, già custodito in passato presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari[3], si conserva attualmente nell'Archivio di Stato di Cagliari presso il fondo Antico Archivio Regio. L’originale, che doveva consistere in una lettera autografa[4] scritta su un unico foglio, è andato perduto. Fortunatamente se ne conserva la copia, che fu trascritta nel Registro C.1 in cui occupa la metà superiore del foglio 24r.

Una prima trascrizione del documento fu curata nel 1866 dallo stesso Giovanni Spano.[5] La datazione non è espressa in modo esplicito essendo limitata al mese e al giorno. Essa però si può desumere dalla collocazione dell'atto tra due documenti correlati, uno precedente e l'altro successivo.[6] Il primo dei due si trova ai fogli 21r-21v[7]. Il secondo è una lettera del governatore Guillem Cervellón sullo stesso argomento, la quale è datata marzo 1346. Questo dato consente, perciò, di datare il nostro documento entro il periodo precedente e, più precisamente, al 26 febbraio 1346 in quanto, come si accennava, la lettera, pur chiudendosi senza l’indicazione dell’anno, reca il giorno e il mese. A confermare la congruità di questa datazione è anche il fatto che l’atto si colloca all’interno dell’arco cronologico (1344-1348) entro cui si svolse l’episcopato del vescovo Bernardo citato nel medesimo documento. Inoltre, l’atto fa riferimento a una decisione che lo stesso prelato aveva assunto più di un anno prima della stesura del nostro documento ovvero quasi agli inizi del proprio episcopato.

2. L’autore del manoscritto.

Il documento fu scritto o fatto scrivere da Daniele de Farfara che subito dopo il proprio nome dichiara la propria qualifica di “Archiprete et Vicarj in spiritual” del vescovo Bernardo di Civita. In realtà il suo ruolo di vicario non doveva limitarsi alla sola sfera spirituale. Dalle collettorie pontificie si apprende, infatti, che Daniele de Farfare o di Farfara, oltre che essere arciprete, svolgeva anche la funzione di subcollettore di fatto della relativa diocesi sebbene questa qualifica nelle Rationes decimarum non risulti esplicitata formalmente. Nel 1342 egli effettuò per tre volte dei versamenti in denaro a titolo di decime dovute dal precedente vescovo Lorenzo di Viterbo.[8] In quello stesso anno egli effettuò altri tre versamenti a titolo personale per decime dovute in relazione alla dignità arcipretale rivestita.[9] Sempre nel 1342 egli è ricordato per altri sette versamenti eseguiti per conto dei rettori dei villaggi di Telti, Arzachena, Arista, Norache, Caresi, Villa Alba e Gurguray.[10] Le collettorie pontificie rivestono importanza perché offrono anche l’ultima attestazione documentaria dell’arciprete Daniele che risale al 13 marzo 1346;[11] dunque appena quindici giorni dopo la stesura della lettera inviata al governatore Guillem de Cervellón.

Al di là del ruolo rivestito all’interno della diocesi civitatense, nulla altro si sa sulle vicende umane di Daniele de Farfara. Qualche notizia, seppure non di interesse diretto, può giungere dal cognome De Farfara che nella storiografia sarda occorre in relazione ad altri tre personaggi documentati tutti entro il secolo XIV. Nel primo caso si tratta di Guantino di Farfara, che fu prima arciprete e poi vescovo della diocesi di Sorres nel 1303 o nel 1313.[12] Nello stesso periodo in cui visse l’arciprete civitatense le collettorie pontificie ricordano un Franciscus Farfare canonico della diocesi turritana.[13] Per trovare l’ultima attestazione di un Farfara si deve scendere fino al 1388 quando, nel contesto dell’Ultima pax stipulata tra la Corona d’Aragona e il Regno d’Arborea, è ricordato un Pietro de Farfara che compare tra i giurati che sottoscrissero la pace in rappresentanza della comunità di Macomer.[14] Si tratta, dunque, di un cognome abbastanza raro, circoscritto sul piano cronologico e attestato nella sola parte settentrionale della Sardegna. Non pare, comunque, che questo cognome fosse originario dell’Isola.[15] Secondo la tradizione gesuitica esso spettava a ebrei o falsi convertiti localizzati perlopiù a Livorno e a Roma. È difficile verificare la veridicità di questa tradizione specialmente se si tiene conto che il personaggio in questione e gli altri individui portatori del medesimo cognome vissero due secoli prima della fondazione della Compagnia di Gesù. Né, a questo riguardo, si può tralasciare che tre dei quattro individui documentati in Sardegna nel Trecento rivestivano delle dignità non prive di rilievo all’interno dell’organizzazione ecclesiastica.[16]

3. Altri personaggi.

La lettera è indirizzata a Guglielmo di Cervellón, la cui fama è legata principalmente alla vittoriosa battaglia di Lucocisterna contro i Pisani (1328) a seguito della quale fu nominato governatore del Regno di Sardegna e Corsica. Tra il 1342 e il 1347 egli fu nominato nuovamente governatore ma nella rovinosa battaglia di Aidu de Turdu (1347) persero la vita i suoi figli Ughetto e Gherardo e poco tempo dopo morì anche lui dopo essere stato uno dei principali protagonisti della conquista della Sardegna e della storia dell’Isola nel secondo quarto del Trecento.[17]

Il vescovo Bernardo, citato nel documento quale titolare della diocesi di Civita, corrisponde al padre Bernardo Rubei o Bernardino Rossi dell’Ordine dei frati minori. La sua permanenza sulla cattedra di Civita è documentata dal 14 giugno 1344 fino al 27 giugno 1348.[18] Egli, inoltre, è ricordato nelle collettorie pontificie relative allo stesso anno 1346 al quale risale il nostro documento.[19]

Barisone de Lacon è uno dei due protagonisti dei fatti che sono alla base della supplica dell’arciprete civitatense. Secondo quanto afferma lo stesso vicario, che lo dipinge come un (l. 7) “hom que ha poder in aquel logu”, cioè a Bortigiadas, da oltre un anno egli si oppone alla volontà del vescovo. Personaggio altrimenti sconosciuto, il suo nome prestigioso ricorda quello di Barisone de Lacon-Gunale, che fu re di Gallura all’incirca nel trentennio che precede il 1204. Doveva trattarsi di un epigono dell’antica nobiltà giudicale che nei villaggi continuava a detenere un potere residuale.[20]

Controparte di Barisone de Lacon è Antonio Agueri, un catalano che risiedeva a Sassari. Purtroppo, le fonti non tramandano notizie su di lui anche se si può presumere che fosse tra i primi abitatori catalani stabilitisi a Sassari nel ventennio successivo alla presa di possesso dell’Isola da parte della Corona d’Aragona. Come si chiarirà più avanti, la grafia Agueri con la desinenza in –i e il trattamento o > a rappresenta probabilmente una forma corsizzata del cognome Oguer citato nei regesti del suddetto registro C1 (cfr. nota 8).

4. Struttura e contenuti del documento.

La lettera di Daniele di Farfara presenta, oltre alla data con cui si conclude, le seguenti quattro sezioni: 1) destinatario; 2) richiedente; 3) esposizione dei fatti; 4) istanza o supplica.

Nella prima riga il nome del destinatario è preceduto da un titolo (sengnor) e due aggettivi (molt nobile e molt poderosu) che, al di là della deferenza dovuta al governatore del regno, hanno anche la finalità di predisporre positivamente il titolare dei poteri cui si rivolge la supplica. L’aggettivo molt preposto a nobile e poderosu risponde a un’impostazione assai frequente nelle missive in catalano del periodo come mostra, non a caso, il doppio aggettivo con cui il richiedente cita il sovrano aragonese: (l. 2) molt alto Senor nostru lo Senyor Rey d’Aragón.

Al contenuto della lettera il richiedente prepone la propria qualifica di arciprete con funzione di vicario in luogo del vescovo Bernardo che, da quanto appare, doveva trovarsi fuori sede.[21]

Dall’esposizione dei fatti, che occupa la parte centrale del documento (ll. 5-10), emerge che il presule Bernardo relativamente al villaggio di Bortigiadas aveva concesso già da oltre un anno le entrate di sua spettanza al sassarese di origine catalana Antonio Oguer. Tuttavia, secondo quanto lamenta l’arciprete, il bortigiadese Barisone de Lacon per tutto quel tempo aveva impedito al catalano di godere delle entrate in questione. Nonostante l’ammonizione dell’autorità religiosa, culminata con la scomunica (ll. 8-9: “noi lu ditu Barizon havemu admonitu et datuli sententia de excomunicacione”), Barisone de Lacon non desisteva dal suo atteggiamento. Ma, poiché egli non faceva parte del clero, non poteva essere sanzionato da un tribunale ecclesiastico: (ll. 10-11: “cunciosia cosa che lo ditu Barison non sia de nostru foru, che noi da siò possam far justitia per parte del ditu seygnor Episcopu e mia”).

Ed è questa la ragione per cui, nella parte finale del documento, il vicario civitatense, non riuscendo a venire a capo del problema, si vede costretto a supplicare la massima autorità civile e giudiziaria del regno affinché (ll. 13-15) “per la vostra nobilità, faciaus complimentu de justitia a lu ditu Anthoni contra lu ditu Barison de Lachon, per qué lo ditu Antonj poscha haver et tener la dita sua intrata la qual lu ditu Barison li prende et leva contra justitia”.

In tutta la vicenda non appare mai il rettore della parrocchia di Bortigiadas, di cui si può immaginare un ruolo attivo come referente dell’autorità episcopale e del suo vicario ma che, forse per ragioni legate al potere che Barisone de Lacon deteneva nel villaggio, dovette restare saggiamente in disparte.[22]

5. La lingua.

Anche se il documento riveste aspetti di un certo interesse sul piano storico, è dal punto di vista linguistico che esso propone gli aspetti più interessanti. Si tratta, infatti, di un documento bilingue essendo stato scritto, relativamente alle parti introduttive, in catalano mentre per l’esposizione dei contenuti si è preferito l’impiego di una lingua che a tratti alterna il toscano con una varietà che per diversi fatti linguistici può corrispondere al còrso. Dalla successiva analisi apparirà con una certa chiarezza che ci troviamo di fronte a un documento in cui per la prima volta in Sardegna si utilizza il còrso su un piano formale seppure in modo frammentario. A parte questo atto, infatti, non risultano altri casi di impiego formale del còrso durante i successivi cinque secoli. Le testimonianze di questa varietà, pur essendo frammentarie, non sono affatto da trascurare e costituiscono una base utile per il suo studio in diacronia. Questa situazione comporta che la lettura di determinati fenomeni debba avvenire necessariamente in filigrana. Concetto, questo, che è stato assunto come elemento fondante per qualsivoglia approccio alle varietà linguistiche corse.[23] A maggior ragione questo aspetto deve essere tenuto presente per quanto riguarda le eteroglossie di matrice corsa del settentrione sardo.

Tornando al sardo logudorese, la scarsa rappresentazione che ne offre il documento appare insolita in quanto proprio questa varietà, come è noto, almeno fino all’avvento della potenza catalano-aragonese rappresentava il codice di più largo uso per gli atti prodotti nella parte centro-settentrionale dell’Isola. Il sardo, a ben vedere, è rappresentato soltanto da poche parole oltre che dal toponimo Orticlata (Bortigiadas) e dal cognome De Lacon, giacché anche il nome del personaggio che ne è portatore (Barisone) risulta catalanizzato con le grafie Barisón e Barizón.

L’importanza del documento consiste, oltre che nella sua rarità, nella datazione oggettivamente precoce di una varietà riferibile al còrso rispetto alle tesi espresse da prestigiosi studiosi.[24] Le prime testimonianze scritte in una varietà di còrso risalgono alla seconda metà del Seicento e sono rappresentate da alcuni testi poetici.[25] Altri testi poetici verranno alla luce nel Settecento[26] ma occorrerà attendere fin oltre la metà di quel secolo per ritrovare un documento scritto in sassarese[27] e addirittura la settima decade dell’Ottocento per avere dei documenti nei quali il gallurese conosce per la prima volta un impiego formale.[28] Eppure l’uso informale del còrso in Gallura è attestato, seppure indirettamente, fin dal 1317-19.[29] Anche in Anglona si conosce una testimonianza, stavolta di carattere epigrafico, che attesta l’uso del còrso verso la metà del Quattrocento.[30] Per quanto riguarda il territorio di Olbia, purtroppo, non si dispone di notizie utili al fine del suo inquadramento dal punto di vista linguistico ma soltanto di scarni dati relativi alla sua popolazione.[31] Viceversa, in relazione all’area sassarese, dove da parecchi secoli si parla un’altra varietà di origine corsa, si sa per certo che nel periodo al quale risale il nostro documento vi era una forte presenza corsa.[32] Questo fatto è confermato anche da un documento che si conserva nello stesso registro in cui è trascritta la lettera di Daniele di Farfara.[33] Per l’Anglona già nel periodo che precede la stesura del nostro documento si dispone di una buona documentazione sulla presenza corsa.[34] Anche per la Gallura, comunque, le notizie relative alla presenza di genti corse, sebbene frammentarie, non mancano[35] e possono essere utili per spiegare il motivo per cui a Terranova non dovesse essere estraneo l’uso di una varietà linguistica riferibile al còrso.[36]

6. Fatti notevoli.

L’oggetto principale di questo breve saggio è rappresentato dalla descrizione delle parti del documento scritte in tre diverse varietà linguistiche, una delle quali corrisponde al còrso antico. Nella parte relativa a quest’ultima varietà, in particolare, sono attestati dei fenomeni che potrebbero essere attribuiti all’oltremontano ma anche al cismontano o a una fase antica del gallurese. Ma andiamo per ordine iniziando dalle parti della lettera scritte in catalano e in toscano.

6.1 Catalano.

L’impiego del catalano da parte del richiedente rappresenta un fatto normale in un periodo in cui ormai da oltre un ventennio il potere, compreso quello giurisdizionale, era in mano ai rappresentanti della Corona d’Aragona. Non per caso, trattandosi di un atto tendente ad ottenere un risultato rilevante sul piano giuridico, la formula iniziale ossia l’invocatio è scritta in catalano. Nel testo sono tratti specifici di questa lingua gli aggettivi molt e poderós; l’aggettivo dimostrativo aquel; gli avverbi humilment, pertenent, forsatament, continuament; i sostantivi in –ent (placiment), in –or (reformador, gubernador, senyor) e in –er (poder); l’analoga desinenza nella flessione verbale (requer); l’infinito in –er (haver, tener); il participio passato in –ut (volgut); il presente congiuntivo (poscha, faciaus). Forme esclusive del catalano sono gli appellativi pare, hom e vicarj.Per la resa grafica della nasale palatale si nota l’impiego del caratteristico digramma ny (Senyor) alternato a varianti di tipo toscano e còrso (segnor, sengnor). Quest’ultima, in particolare, appare vicina all’odierna situazione del gallurese che presenta singnóri. Analogo è anche il caso della grafia corsizzante agnu per cat. any. Una citazione specifica meritano i toponimi ossitoni Cervelón, Aragón con –n conservata. Si tratta di grafie del tutto coerenti con la documentazione coeva in cui questa desinenza consonantica non è stata ancora sopraffatta dalle grafie successive Cervelló e Aragó.

La forma (l. 2) isla ha l’aspetto di un castiglianismo attestato nelle fonti catalane del XIV secolo, ma potrebbe trattarsi ugualmente di un catalanismo. Qualche dubbio si pone sulla possibilità che la grafia (l. 10) veta possa rappresentare una variante assordita di cat. Veda oppure una forma corsa, come suggerirebbe la mancata dittongazione dell’originaria e tonica rispetto al tosc. vieta.

6.2 Toscano.

La presenza nel testo di diversi segmenti in toscano costituisce una conseguenza evidente della presenza pisana a Civita, cioè in quella che dal punto di vista storico rappresenta la capitale dell’antico Regno di Gallura. Sull’uso talvolta massiccio del toscano durante il medesimo periodo restano importanti testimonianze, prima tra tutte il noto Liber fondachi.[37] Anche altri documenti, del resto, attestano per la Gallura l’uso intermittente del toscano in testi scritti in catalano.[38]

Non sempre risulta agevole, in alcuni passi del documento, distinguere in modo sicuro tra voci toscane e voci corse. Il periodo a cui risale il testo, infatti, complica questa operazione. Ancora alla fine del Medioevo il còrso conservava la desinenza verbale –are dell’infinito della prima coniugazione che, seppure residualmente, si è mantenuto con la variante oltremontana –ari.[39] Peraltro nei rari testi medioevali scritti in còrso, specie nella parte settentrionale dell’isola, capita di imbattersi in forme di genere maschile desinenti in –o anziché in –u come ci si potrebbe aspettare. Questa situazione appare in linea col fatto che per gli usi formali, dunque per la stesura di testi scritti, il codice di riferimento era rappresentato dal toscano mentre il còrso emerge qua e là dal suo percorso carsico attraverso interferenze che possono risultare più o meno numerose e significative a seconda del livello di sorveglianza dei relativi scrivani. Uno dei testi più utili per esemplificare questo concetto è costituito dalla cosiddetta Deposizione del rettore della chiesa di San Niccolò di Spano in cui le interferenze del còrso sull’ordito in toscano emergono in modo meno sporadico rispetto ad altre fonti.[40]

Da attribuire sicuramente al toscano è la congiunzione di valore causale conciosiacosache,presente con ben tre occorrenze, la quale è tipica dei documenti coevi. Ma già nella prima sillaba (cun- in luogo di con-) si osserva una interferenza corsa o sarda.

Altri segmenti in toscano possono essere considerati i seguenti: nobile (il catalano ha noble); per la qual cosa; per parte del; che noi da siò; e mia; supplico jo Daniel Archiprete; volentà; per la vostra nobilità. Tra questi materiali appaiono notevoli le grafie siò- che ha l’aspetto di una forma catalanizzata del toscano ciò – e nobilità in cui la seconda -i- non ha ancora subito il dileguo e la desinenza–à mostra l’ormai avvenuta apocope di –te che, viceversa, residua nella lingua della poesia con la forma più antica nobilitate.

Meno sicura appare l’attribuzione del sintagma li prende et leva contra iustitia che potrebbe essere, oltre che toscano, còrso giacché anche in questa varietà e nello stesso oltremontano occorrono i verbi prende e livà che hanno valori pressapoco sinonimici.[41] Questo aspetto riguarda anche i coronimi Sardegna e Corsica che, ugualmente, possono essere sia toscani sia corsi.

6.3 Còrso.

Il testo presenta diversi segmenti che non possono essere attribuiti né al catalano né al toscano. Per alcuni fenomeni occorrerebbe porsi il quesito se non si tratti di interferenze di tipo umbro o siciliano,[42] entrambe varietà che condividono diversi fenomeni col còrso.[43] A fare propendere per l’identificazione degli inserti in questione col còrso antico sono, tra altri fatti, le esclusive desinenze in –u per le forme di genere maschile e in –a per quelle di genere femminile. Per una descrizione più puntuale delle parti in còrso dal punto di vista fonetico storico è di ostacolo, come si accennava, la penuria di testimonianze scritte in còrso che, se sono del tutto assenti in Sardegna, sono comunque rare anche in Corsica.

Tra gli aspetti più notevoli sono da segnalare i seguenti fatti grammaticali e lessicali:

- l’articolo maschile lu; questa forma presenta cinque occorrenze contro le sei della forma lo che appare più chiaramente toscana ma che potrebbe essere anche catalana e pure corsa.

- la preposizione articolata (ll. 10; 13) a lu ‘al, allo’ con la laterale degeminata, pur potendo essere di altre varietà continentali e del siciliano, è caratteristica del còrso antico e del gallurese.[44]

- la voce verbale habìa corrisponde a quella tuttora vigente nel sassarese.

- i participi passati admonitu, datu e dit(t)u (9 occorrenze) vanno con le odierne forme galluresi ammunitu, datu e dittu.

- gli aggettivi nostru (2 occorrenze), passatu, cathalanu, reverendu e supradittu sono identici a quelli tuttora in uso nel gallurese. Di rilievo è il mantenimento del nesso /str/ in contesto intervocalico, diversamente da quanto avviene in siciliano e in certe varietà corse.[45]

Sono marche di tipo còrso o gallurese anche l’adattamento con uscita in –u della grafia poderosu (cat. poderós) e la forma guvernador (cat. governador).

Oltre ai suddetti fatti assume un aspetto decisivo la congiunzione qui, la quale è caratteristica del còrso e del sardo mentre il catalano ha que al pari del toscano che. Questo dato porta anche ad escludere che si possa essere di fronte a un testo umbro.

Un’altra forma notevole è il sostantivo logu con k sonorizzata e privo di dittongo (toscano luogo; cat. loch) che può essere sardo logudorese ma anche còrso cismontano od oltremontano occidentale.[46]

Il passo (ll. 8-9) “noi lo ditu Barizón havemu admonitu et datuli sententia” non differisce sostanzialmente dall’odierna situazione del còrso oltremontano con l’unica eccezione del pronome lo che si è evoluto in u.

Tipicamente oltremontana, se non già gallurese, appare la citata variante Agueri del cognome catalano Oguer con –r finale seguita dalla desinenza in –i che caratterizza anche il nome personale gall. Sciaéri (< cat. Xavier) e una serie di toponimi di origine preromana suffissanti in -r come Tisiènnari (log. Tisiènnero), Sènnari (log. Sènnero, -aru), Bunnànnari (log. Bunnànnaru), ant. Àrdari (log. Àrdara) ecc.

Riguardo al trattamento della vocale protonica del cognome in questione, si possono portare i seguenti esempi in cui il mutamento o > a nel còrso e nelle varietà sarde di origine corsa si realizza in presenza delle consonanti vibrante, laterale e nasale: cor. abréju ‘ebreo’, acéllu ‘uccello’, Alìa ‘Elia’, adôre, gall. adóri, sass. adòri ‘odore’; gall. aliòni,sed. aliddòni, sass. ariddòni ‘corbezzolo’ (log. olidone); sass. agliàɬtru, cast. sed. agliàltru, madd. aÉ–É–àstru (log. ozastru); cor. e cast. alìva, sass. arìba, madd. alìa; gall. mamèntu ‘momento’; sed. accànnu ‘quest’anno’ (log. occannu < lat. hoc anno); gall. spajulà ‘sgozzare’ (log. ispojolare); gall. madd. sprafùndu ‘sprofondamento, voragine, baratro’.[47]

Nella forma (l. 6) Sassari il trattamento /th/ > /ss/ risale probabilmente al Duecento. Esso si deve all’influsso esercitato da Pisa nello scorcio dell’Età Giudicale[48] e come tale la grafia Sassari è attestata anche negli Statuti medioevali dell’omonima città.[49] Questa variante doveva avere vigenza anche presso i gruppi corsofoni della Sardegna settentrionale, essendo tuttora l’unica in uso nell’area sardocorsa, mentre il sardo presenta delle varianti che continuano l’antica forma Thathari.[50]

A favore della corsità del termine villa (2 occorrenze), che potrebbe essere anche toscano o sardo, è il fatto che in entrambe le occorrenze questo lessema è preceduto dal segmento de la dit(t)a che, pur potendo essere catalano oltre che còrso e gallurese, non è associato al corrispondente sostantivo cat. vila. Del resto, questo nome geografico in Corsica è piuttosto frequente anche nella situazione odierna in cui denomina parecchi centri abitati.[51]

Le forme (l. 9) admonitu e (l. 13) complimentu, che non presentano la chiusura della vocale protonica, potrebbero essere sia cismontane sia sassaresi. Queste due varietà, infatti, a differenza dell’oltremontano e del gallurese, in protonia possono conservare la vocale originaria.[52]

La forma (l. 7) retenutu, in parte analoga alle due precedenti ma con timbro aperto anche nella vocale anteprotonica, è in linea con una serie di attestazioni provenienti da fonti corse trecentesche.[53]

Relativamente alla voce possam, che rappresenta la prima persona plurale del congiuntivo presente del verbo ‘potere’, essa è molto vicina all’odierna voce sass. pòssiami. Su questo ed altri fatti, però, è difficile prendere una posizione più netta per il fatto che non è possibile stabilire fino a che punto le grafie del testo siano fedeli alla lingua parlata. Peraltro, non si hanno testimonianze dirette riguardo alla varietà di còrso parlata a Sassari nel XIV secolo che consentano valutazioni più puntuali.

6.4 Sardo.

Si è già detto come il sardo sia quasi del tutto assente nel testo essendo rappresentato in modo indubitabile dal solo toponimo (l. 7) Orticlata[54], dal cognome De Lacon e dal nome Barisone. Rimane qualche dubbio se debbano assegnarsi al logudorese antico anche le voci (ll.8-9) levata, intrata (4 occorrenze) e quella già citata villa. Dal contesto emerge che il participio passato levata corrisponde al significato del sardo log. ant. levare e odierno leare ‘prendere, togliere’. L’altra voce intrata ‘rendita’ rappresenta un toscanismo in quanto per ‘entrata’ nel senso di ‘ingresso’ sia il sardo sia il còrso sia le diverse varietà sardocorse hanno altre voci (log. ant. agitu, mod. aidu). A favore della sardità di intrata militerebbe il verbo intrare che nelle fonti medioevali anche nelle forme flesse ha sempre il tema intr- saldamente conservato mentre in còrso e in gallurese questa voce oscilla tra entrà e antrà allo stesso modo che nel toscano popolare. Tuttavia. anche nelle fonti corse non mancano attestazioni con intr- anziché entr-.[55]

Riguardo all’altra voce villa, essa è tipica del sardo antico in cui, anche con la variante billa, era impiegata nel significato di ‘villaggio’ (log. odierno biÉ–É–a). La circostanza per cui il documento presenti /ll/ conservata anziché lo sviluppo cacuminalizzato /É–É–/ si spiega col fatto che questo fenomeno comincia ad essere attestato con rare occorrenze soltanto nel periodo che precede di poco il nostro documento. Le prime e rare attestazioni dello sviluppo ll > /É–É–/, infatti, appaiono negli Statuti comunali di Sassari (1316)[56] e di Castelsardo (1334-1336).[57] In ogni caso le voci attribuibili al logudorese sono talmente poche che questo insolito aspetto potrebbe rappresentare un indizio riguardo alla lingua parlata da Daniele de Farfara, nel senso che non doveva trattarsi di un sardofono ma, più probabilmente, di un corsofono[58] oppure italofono. 

6.5 Latino.

La presenza di inserti in latino è in linea con l’origine del documento che è di àmbito ecclesiastico. Sono in latino i segmenti (l. 4) in Ch‹rist›o frater Bernardo; (l. 6) de ecclesia; (l. 9) de excomunicacioneest; (l. 15) Data in Terranova die xxvj februarj. Un latinismo potrebbe essere considerato il cognome Farfare che ha l’aspetto di una forma genitivale rispetto a Fàrfara. Ha veste latineggiante anche la grafia episcopu benché per fonetismo non sia lontana dal sardo piscobu[59].

7. Il testo.

La trascrizione del documento è avvenuta sulla riproduzione digitalizzata disponibile sul sito istituzionale dell’Archivio di Stato di Cagliari[60]. Il testo si articola in 15 righe; nell’ultima è compresa anche la data. La scrittura è la corsiva notarile basata sulla minuscola gotica usata frequentemente nella stesura degli atti durante la prima metà del Trecento.

7.1 Criteri di edizione.

L’edizione del documento è conservativa. I principali interventi hanno riguardato la regolarizzazione dell’interpunzione, delle iniziali maiuscole e l’accentazione delle forme ossitone secondo le norme grafiche del catalano. Si è provveduto alla separazione di alcune forme deglutinate introducendo, ove necessario, l’apostrofo. Lo scioglimento di una serie di abbreviazioni risulta in caratteri corsivi. Solo in pochi casi si è reso necessario integrare con le parentesi angolari ‹ › le lacune presenti nel testo. Di ciò si dà notizia in nota indicando la forma corretta chiusa da una parentesi quadra ] seguita da quella emendata scritta in neretto. Sempre in nota si citano le letture divergenti di Giovanni Spano.[61]

Supplica dell’arciprete di Civita al governatore del Regno di Sardegna e Corsica

1 Al molt nobile sengnor et molt poderosu En Guillem de Cervelón, guvernador et reformador

2 general de la jsla de Sardegna e de Corsica, per lo molt alto segnor nostru, lo senyor rey d’Aragón.[62]

3 Supplica et requer humilment ad vos dittu segnor gubernator, e reformador, jo Danjel de Farfare,

4 archiprete et vicarj in spiritual per lu reverendu pare jn Ch‹rist›o[63] frater Bernardo, per la gracia di Deu, Episcopu de Civita.

5 Cunciosia cosa che lo senyor Episcopu supradittu habia donata ja ha un agnu passatu la jntrata pertenent

6 sua de ecclesia de la villa de Orticlata ad Anthonio Aguerj, cathalanu de Sassarj. Et cu‹n›ciosia[64]cosa qui

7 Barison de Lachon de la dita villa de Orticlata, come hom que ha poder jn aqu‹e›l[65] logu si ‹h›a[66] retenutu e le-

8 vata la dita jntrata contra volentà e placiment de lu ditu Anthonj forsatament. Per la qual cosa noi lo ditu   Barizón

9 havemu admonitu et datuli sententia de excomunicacjone; nondemens no si est volgutu stare, che pur conti-

10 nuament prende et veta la dita jntrata a lu ditu Anthonj. Et cunciosia cosa che lo ditu Barisón non

11 sia de nostru foru, che noi da siò possam far justitia per parte del ditu seygnor Episcopu e mja, requero

12 et humilment supplico jo Danjel archiprete et vicarj dictu, ad vos segnor gubernator et reformador

13 che vos per la vostra nobilità, faciaus complimentu de justitia a lu ditu Anthonj contra lu ditu Barisón de

14 Lacho‹n›[67], per que lo ditu Anthonj poscha haver et tener la dita sua jntrata la qual lu ditu Barisón li

15 prende et leva contra justitia.

   Data in Terranova die xxvj februarj ‹1346›.

NOTE

(*) Il presente articolo è stato pubblicato nel n. 4 (ottobre 2021) della rivista Insula Noa. Purtroppo, in tale edizione sono presenti alcuni refusi che il lettore può rilevare attraverso il confronto tra le due redazioni, delle quali questa rappresenta l’unica sottoposta a revisione dello scrivente. In particolare, si chiarisce che il sottoscritto, pur avendovi tenuto per diversi anni l’insegnamento di Lingua sarda, non è più docente dell’Università di Sassari diversamente da quanto appare nella rivista.

[1] Pur facendo riferimento alla sede episcopale di Civita il documento è datato a Terranova, toponimo coniato dai Pisani che nella seconda metà del XIII secolo sostituì quello precedente, che da allora rimase in uso fino alla prima metà del 1800 soltanto per denominare l’antica diocesi della Gallura. Per le questioni che ruotano intorno alla duplice denominazione di Olbia nel periodo immediatamente successivo all’Età Giudicale cfr. Dionigi PaneddaOlbia e il suo volto, Sassari 1989, pp. 39 segg. e Angelo CastellaccioOlbia nel Medioevo. Aspetti politico-istituzionali, in Da Olbìa ad Olbia, 2.500 anni di storia di una città mediterranea, Atti del Convegno internazionale di Studi, Olbia, 12-14 maggio 1994, vol. II, a cura di Giuseppe Meloni e Pinuccia F. Simbula, Sassari, Chiarella 1996, pp. 39-41.

[2] Giovanni SpanoMemorie sopra alcuni idoletti di bronzo trovati nel villaggio di Teti e scoperte archeologiche fattesi nell’isola in tutto l’anno 1865, Cagliari, Tipografia Arcivescovile, 1866, pp. 29-30.

[3] Biblioteca Universitaria di Cagliari, autografo n. 3109.

[4] Cfr. la nota precedente.

[5] SpanoMemorie sopra alcuni idoletti di bronzo…, cit.

[6] Ringrazio il prof. Graziano Fois per avermi segnalato il documento e per la collaborazione offerta. 

[7] L’archivista ha così scritto nei regesti d’inizio volume (ff. 1r-1v): “Ordine del Capitano di Gallura Giovanni de Torrent a Barison de Laconi della villa di Ortigiada che non ostante abbia il trapassato (sic) vescovo di Civita fatta donazione di tutte le rendite a sé spettanti sopra la Chiesa e Rettoria della predetta villa ad un figliuolo di lui bastardo, pure avendo il presente prelato pe’ suoi giusti fini revocata essa donazione ed assegnate quelle rendite ad Antonio Oguer, non se gli opponga per non convenir a lui ingerirsi in diritti della Chiesa”. Il vescovo precedente era Lorenzo di Viterbo; cfr. Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma, Città Nuova Editrice 1999, p. 860.

[8] RDS = Pietro Sella (a cura di), Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIVSardinia; Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1945, scheda 721: “…habui et recepi…a domino Daniele de Farfare archipresbitero civitatensi tradente pro domino episcopo civitatensi…”; 722: “…habui et recepi a dicto Daniele tradente pro dicto domino episcopo…”; 1083: “…habui et recepi…a Daniele de Farfare tradente pro domino Laurencio episcopo civitatensi …”. Per i primi due versamenti il documento indica la data del 4 settembre 1343 ma, poiché è citato il primo anno del papato di Clemente VI, dovrebbe trattarsi del 1342 giacché per il terzo versamento (quindi successivo ai primi due) il documento indica la data del 17 ottobre 1342.

[9]  RDS 723: “…habui et recepi… a domino Daniele de Farfare archipresbitero civitatensi…”; 734: “…habui et recepi…a dicto Daniele de Farfare…”; 1085: “…habui et recepi…a Daniele de Farfare archipresbitero civitatensi…”; 1234: “…a domino Daniele archipresbitero civitatensi…”. Che l’arciprete dovesse versare le decime in funzione della dignità rivestita è confermato dalla scheda 2260 dove si legge “Item pro archipresbiteratu civitatensi …”.

[10] RDS 724: “…habui et recepi…a dicto domino Daniele tradente pro rectore de Certis diocesis civitatensis …”; 725: “…habui et recepi…a dicto domino Daniele tradente pro rectore de Arsequen diocesis civitatensis…”; 726: “…habui et recepi…a dicto domino Daniele tradente pro rectore de Arista diocesis civitatensis…”;  727: “…habui et recepi…a dicto domino Daniele tradente pro rectore de Noraque diocesis civitatensis…”; 728: “…habui et recepi…a dicto domino Daniele tradente pro rectore de Carese diocesis civitatensis…”; 735: “…habui et recepi…a dicto Daniele de Farfare tradente pro…rectore de Villa Alba diocesis civitatensis…”; 1087: “…habui et recepi…a dicto Daniele de Farfare tradente pro Barisono rectore de Gurguray civitatensis diocesis…”.

[11] RDS 2104: “…a domino Danielle archipresbitero civitatensi…”. Nella medesima data egli versò le decime delle rettorie di Gurguray, Civilionis e Ariscan (RDS 2105-2107).

[12] Giancarlo ZichiSorres e la sua diocesi, pp. 92-93. Secondo un documento contenuto nella Biblioteca Universitaria di Cagliari, Ms. Baylle, portafoglio III, n. 3 Guantino sarebbe attestato nel 1303. Secondo TurtasStoria della Chiesa cit., p. 855 Guantino non sarebbe assurto in modo effettivo alla dignità episcopale.

[13] RDS 38, 128, 129. Le tre attestazioni risalgono al biennio 1342-1343.

[14] Pasquale TolaCodex Diplomaticus Sardiniae, “Historiae Patriae Monumenta”, 2 voll., Torino 1860-1862, ristampa anastatica Roma 1985, p. 834/1.

[15] Attualmente il cognome Fàrfara si presenta con poche occorrenze tra Roma, Umbria, Toscana e Lombardia (meno di 30 in tutto). Alla base sembra avere il fitonimo fàrfara o fàrfaro (Tussilago farfara L.) che è un’erbacea usata come rimedio contro la tosse.   

[16] Non andrebbe escluso che la citata tradizione gesuitica ne continuasse una più antica che potrebbe essere alla base del personaggio di Farfarello, diavolo ricordato nel Morgante di Luigi Pulci, che parrebbe risalire all’omonimo demonio che Dante (Inferno, XXI) poneva a guardia dei barattieri.

[17] Francesco FlorisFeudi e feudatari di Sardegna, Cagliari, Della Torre 1996, II, p. 572.

[18] Secondo TurtasStoria della Chiesa in Sardegna..., cit., p. 860 l’episcopato di Bernardo sarebbe terminato nel 1347. Ma dalla scheda 2273 delle collettorie pontificie risulta che il presule era ancora in carica fino al 27 giugno del sesto anno di pontificato di Clemente VI che ebbe inizio il 7 maggio 1342; ne consegue che Bernardo era ancora vescovo di Civita alla metà del 1348; per questa datazione cfr. la scheda 2233 delle stesse collettorie (dunque precedente alla citata scheda 2273) che recita “…Item anno Domini quo supra et pontificatu dicti domini nostri Clementis pape VI anno VI…”.      

[19] RDS, n. 2526 (9 luglio 1346).

[20] A livello locale un ruolo di preminenza delle famiglie appartenute alla nobiltà giudicale è attestato in certi casi ancora fino al Cinquecento; per esempio, nel 1522-1523 tra i cinque giurati del villaggio anglonese di Perfugas, confinario con quello di Bortigiadas, è ricordato un notabile dallo stesso cognome, tale donnu Antonicu de Lacono, il quale era proprietario di terreni e di greggi di pecore; cfr. Mauro MaxiaPerfugas e la sua comunità. Profilo onomastico storico descrittivo, I, Olbia, Taphros 2010, p. 173.  

[21] Il 6 di giugno dello stesso anno il vescovo Bernardo versò personalmente le decime dovute alla Santa Sede; cfr. RDS, n. 2526.

[22] Nel periodo interessato dagli avvenimenti il rettore di Bortigiadas era un tale Bonaventura; cfr. RDS 2268.

[23] Cfr. Jean Chiorboli, Reflets de la langue corse dans un manuscrit du XVIIe siècle, in “Études Corses”, 10, (1978), p. 156: “…la langue corse est présente et se manifeste, d’une façon ou d’une autre, dans tout texte écrit par un Corse, quels que soient l’époque et le code employé, et que de tels témoignages son utilisables”. Un concetto analogo è espresso per il sassarese da Leonardo SoleSassari e la sua lingua, Sassari, Stamperia Artistica 1999, p.77: “Un percorso carsico difficilissimo da seguire…”.

[24] Secondo Max Leopold WagnerLa lingua sarda. Storia, spirito e forma, Bibliotheca Romanica, Francke Verlag, Berna, 1951, ora a cura di Giulio Paulis, ISRE, Nuoro, 1997, p. 346, la colonizzazione corsa della Gallura sarebbe iniziata soltanto alla fine del XVI secolo e si sarebbe consolidata nel secolo successivo. Questa posizione ormai superata del Wagner si spiega, almeno in parte, col fatto che fino alla metà del 1900 le conoscenze storiche e linguistiche sul dominio sardo-corso erano ancora limitate.

[25] Si tratta del cosiddetto Canzoniere ispano-sardo di Luogosanto, per il quale cfr. Andrea Deplano, in Tonina PabaCanzoniere ispano-sardo, Cagliari, Cuec 1996; vedi anche Cristian RibichesuIl canzoniere ispano-sardo. Edizione dei testi sardi, tesi di laurea, Università di Sassari, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2003-04. I testi, scritti in una varietà sardo-corsa vicina al gallurese ma anche al castellanese e al sedinese, si intitolano Sut’a un arboru fioridduTu ti n’andesti ridendiCara di incarnata rosa. Su questi tre componimenti cfr. M. Maxia, La littaratura gadduresa, in Mauro Maxia, Alain Di Meglio, Anghjulu Pomonti, Literatura corsa e littaratura gadduresa, Atti del 4° Convegno Internazionale di Studi “Ciurrata di la linga gadduresa”, a cura di Mauro Maxia, Palau 10 dicembre 2016; Taphros, Olbia 2017 (ISBN 9788874381865); pp. 18-118.

[26] Sono le poesie di Gavino Pes, il cosiddetto “Catullo gallurese”, per le quali cfr. Giulio Cossu (a cura di), Don Baignu (Gavino Pes). Tutti li canzoni, Cagliari, Della Torre 2001.

[27] Si tratta del catechismo Brevi compendiu di la dottrina cristiana, Sassari, Imprenta di Simoni Polu, 1770.

[28] Vedi Il Vangelo di S. Matteo, volgarizzato in dialetto sardo gallurese di Tempio dal rev. P(adre) G. M. Mundula delle Scuole Pie con alcune osservazioni sulla pronunzia del dialetto tempiese, del principe Luigi-Luciano Bonaparte, Londra, Strangeways & Walden 1861; cfr. anche Il Cantico de’ Cantici di Salomone, volgarizzato in dialetto sardo settentrionale tempiese dal P(adre) G. M. (Mundula), Strangeways & Walden, Londra, 1861 e La profezia di Gionavolgarizzata in dialetto sardo tempiese dal rev. P(adre) P. Porqueddu delle Scuole Pie, Londra, Strangeways & Walden 1862.

[29] Si tratta del toponimo Lu Narbone per il quale vedi Francesco ArtizzuLiber Fondachi. Disposizioni del Comune pisano concernenti l’amministrazione della Gallura e Rendite della Curatoria di Galtellì, Annali della Facoltà di Lettere e Magistero, 29 (1961), Cagliari, 1966, p. 65. Il dato è stato ripreso da Giulio PaulisLingue subregionali in Sardegna, in La Gallura, Atti del Convegno “Il gallurese una lingua diversa in Sardegna”, San Teodoro, 19-20 giugno 2004, a cura di Salvatore Brandanu, I.CI.MAR., S. Teodoro-Olbia, 2005, p. 20 che ha proposto di localizzare il relativo toponimo nello spazio geografico compreso tra Posada e Budoni. Poiché in questo spazio l’unica zona in cui si parla gallurese è costituita dal settore settentrionale del comune di Budoni e da un tratto del territorio di Torpè (il restante territorio è sardofono) appare coerente localizzare il toponimo Lu Narboni in corrispondenza del toponimo Li Nalbòni attestato nei pressi della frazione Talavà del comune di Budoni e, più precisamente, a breve distanza dal piccolo agglomerato di Muriscovò (IGM, Carta d’Italia, scala 1:25.000, foglio 463, sezione 3, Torpè).

[30] È l’epigrafe di Santa Vittoria del Sassu per la quale vedi Mauro MaxiaUna antica epigrafe in gallurese, in Studi storici sui dialetti della Sardegna settentrionale, Studium, Sassari 1999, pp. 55-90; L’operaiu e l’eremita. La più antica testimonianza del dialetto gallurese, in “Almanacco Gallurese” 2002-2003, 310-323.

[31] Sulla situazione di Terranova nella prima parte del 1300 cfr. Alessandra Argiolas - Antonello MattoneOrdinamenti portuali e territorio costiero di una comunità della Sardegna moderna, in Da Olbìa ad Olbia, cit., pp. 208-211. Per quanto riguarda la sua popolazione urbana e rurale nel periodo che precede e segue di poco l’anno 1347 vedi Dionigi PaneddaIl Giudicato di Gallura. Curatorie e centri abitati, Sassari, Dessì 1978, pp. 320-322.

[32] Cfr. Maria Giuseppina MeloniSardegna e Corsica nella politica di espansione della Corona d’Aragona, in Sardegna e Corsica. Problemi di storia comparata, Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Storia, Sassari 1998, pp. 173-219. Per uno sguardo di sintesi sulla presenza corsa nell’area di Castelsardo durante il Trecento vedi Mauro MaxiaI Corsi in Sardegna, Cagliari, Della Torre 2006, p. 123, tav. 8.

[33] Archivio di Stato di Cagliari, fondo Antico Archivio Regio, Registro C.1, ff. 30r-30v. Si tratta di un ordine del governatore generale Guglielmo di Cervellón che fa obbligo ai burgensi di Sassari, sia corsi sia sardi, di presentarsi nella piazza di corte a cavallo o a piedi con le loro armi. Il fatto che il governatore si rivolga in modo articolato distinguendo i sardi dai corsi mostra come nel 1347 la popolazione di Sassari fosse composta da due etnie ben distinte.

[34] Cfr. Carlo LiviLa popolazione della Sardegna nel periodo aragonese, in “Archivio Storico Sardo”, XXXIV, fasc. II, Cagliari 1984, pp. 23-130, specialmente p. 89, n. 184.

[35] MaxiaI Corsi in Sardegna, cit., pp. 143-144.

[36] Sulle origini del gallurese e, più in generale, delle varietà linguistiche di origine corsa della Sardegna settentrionale vedi Mauro MaxiaStudi sardo-corsi. Dialettologia e storia della lingua tra le due isole, Olbia, Taphros 2008, 2^ edizione 2010.

[37] Cfr. nota 30.

[38] Cfr. Corrado Zedda - Giovanna Santoro, Libre della Camerlengìa di Gallura, Cagliari, Gianni Trois Editore, 1997.

[39] Cfr. L. MarcellesiA Infanfata o A Fola di i Martinelli, Edizioni Mediterranea, Cullezione Nustrale, Borgu, 2000, 4: “…vacari di a ghjuventù…” (‘il vagare della gioventù’).

[40] Il documento, che risale all’anno 1400, dunque a un periodo successivo di mezzo secolo rispetto al nostro testo, è pubblicato in Geo PistarinoLe carte del monastero di San Venerio del Tino relative alla Corsica (1080-1500), Torino, Stab. Tip. Miglietta, Milano & C., 1944, doc. 46, pp. 87-89. Annalisa Nesi, in Ines Loi Corvetto - Annalisa NesiLa Sardegna e la Corsica, utet, Torino, 1993, pp. 243-245 ne ha posto in evidenza i fatti più notevoli sul piano linguistico.

[41] Franco Domenico FalcucciVocabolario dei dialetti, geografia e costumi della Corsica, Opera postuma riordinata e pubblicata di su le schede ed altri mss. dell’Autore a cura di Pier Enea Guarnerio, Aldo Forni Editore, Cagliari 1915; ristampa anastatica Sala Bolognese, pp. 217-218; 281.

[42] Sulla presenza in Sardegna di scrivani di origine siciliana agli inizi della campagna militare della Corona d’Aragona per la conquista della Sardegna cfr. Maria Giuseppina MeloniUna nota su alcuni documenti in lingua sarda dell’Archivio della Corona d’Aragona, in “Medioevo. Saggi e Rassegne”, 20 (1995), pp. 353-364.

[43] Jean ChiorboliCorse et Sicile: concordances intertyrrhéniennes, «Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani», 17 (1992), Palermo; cfr. anche Dalbera J.Ph. - Dalbera-Stefanaggi M.-J., De la genèse des vocalismes corse, in G. Ruffino (a cura), Atti del XXI Congresso Internazionale di Linguistica e Filologia Romanza, Centro Studi filologici e linguistici siciliani, Università di Palermo (18 – 24 settembre 1995), 6 voll., Tübingen, Niemeyer, 1998, 217-231.

[44] G. PistarinoLe carte del monastero di San Venerio del Tino, cit., doc. 46: “…dedi a lo Bianco…”; “…era a lu collo…” (2 volte).

[45] Cfr. Mauro MaxiaFonetica storica del gallurese e delle altre varietà sardo corse, Olbia, Taphros 2012, §§ 2.17.143-2.17.144 e 2.16.56.

[46] Cfr. A. NesiLa Sardegna e la Corsica, cit., p. 247, n. 8.

[47] In còrso questa variazione si verifica anche in altre condizioni. Per la descrizione di questo fenomeno vedi Mauro MaxiaFonetica storica del gallurese e delle altre varietà sardo corse, cit., §§ 1.3.1 e 1.3.2.

[48] Eduardo Blasco FerrerCrestomazia sarda dei primi secoli, 2 voll., in “Officina Linguistica”, IV (2003), vol. I, p. 200, § 13.

[49] La grafia Sassari comincia ad apparire nei documenti della seconda metà del Duecento; cfr. Pasquale TolaCodex Diplomaticus Sardiniae, cit., I, p. 392, doc. 113 del 1273.

[50] La forma medioevale Thàthari continua in alcune parlate conservative del Nuorese accanto alla forma Tzàtzari (Nule); il campidanese ha la variante Sàtzari mentre nel logudorese si è imposta la variante Tàttari.

[51] Sono cinque gli insediamenti còrsi denominati Villa (frazioni dei comuni di Caccia, Corte, Oletta, Paraso e Pietrabugno); altri sette insediamenti hanno il nome di Villanova.

[52] Per il sassarese cfr. Eduardo Blasco FerrerStoria linguistica della Sardegna, Tübingen, 1984, pp. 202, 324. Riguardo al còrso vedi Jean Baptiste MarcellesiIdentité linguistique, exclamatives et subordonnées: un modèle syntaxique spécifique en corse, in « Études corses », 20-21 (1983), pp. 399-424 e Jean ChiorboliLa langue des Corses. Notes linguistiques et glottopolitiques, Bastia, 1991, pp. 28-29.

[53] Cfr. le grafie Asenuculo per Asinuculo e Montegelo per Montigel(l)o in Geo PistarinoLe carte del monastero di San Venerio del Tino…, cit., doc. 37 del 1381, p. 68; cfr. anche Pastenellum e Pastenello per Pastinello ivi, doc. 38 del 1382, pp. 74-75.

[54] La grafia Orticlata replica quella attestata per due volte nelle collettorie pontificie in cui è presente anche la variante Orticlada. Accanto a queste varianti aferetiche è nota anche la forma Gortiglata (cfr. PaneddaIl Giudicato di Gallura, cit. pp. 280-282) che risale a un toponimo lat. (villa, arva, terracorticulata alla base del quale è l’antica presenza di querce da sughero; cfr. Massimo PittauI nomi di paesi fiumi monti e regioni della Sardegna. Significato e origine, Cagliari, Gasperini 1997, p. 46.

[55] Cfr. G. PistarinoLe carte del monastero di San Venerio del Tino…, cit., doc. 46: “…intro la presa…”.

[56] Negli Statuti di Sassari, che si articolano in ben 241 capitoli, il fenomeno è attestato soltanto una volta nel libro II, cap. 69: gurtedu ‘coltello’.               

[57] Negli Statuti di Castelsardo lo sviluppo in questione registra due sole occorrenze nei capitoli 190 e 196: pupidu ‘pupillo’.

[58] Questa circostanza acquisirebbe una maggiore verosimiglianza nel caso si accertasse l’esistenza di rapporti tra questo individuo e gli altri due personaggi aventi lo stesso cognome e documentati nelle diocesi sorrense e turritana (cfr. § 2); specialmente in quest’ultima diocesi l’uso del còrso doveva costituire un fatto abbastanza comune.

[59] Max Leopold WagnerDizionario Etimologico Sardo, 2 voll., Heidelberg, 1960-62; II, pp. 277-278.

[60] Cfr. Archivio di Stato di Cagliarihttp://www.archiviostatocagliari.it:443/patrimonioarchivio/immagine.html?open=F44010902_S&t=UA&pg=1&idp=2113&typ= s&doc=00000048.Jpg.

[61] Nella citata trascrizione di Giovanni Spano tutte le abbreviazioni risultano sciolte senza avvisare riguardo alla reale situazione delle relative grafie.

[62] d’Aragón] daragon. Spano legge d’Aragon.

[63] Ch‹rist›o] Xo. Spano scrive X.o.

[64] cu‹n›ciosia] cuciosia. Spano legge cunciosia.

[65] aqu‹e›l] aqul. Spano scrive aquel.

[66] si ‹h›a] sia. Spano legge sia.

[67] Lacho‹n›] Lacho. Spano legge Lachon.

 

 

 

Inventario

 

 

 

4L'inventario di S. Maria degli Angeli di Pérfugas. Edizione del manoscritto spagnolo con traduzione a fronte (Perfugas, AM Graphic 2007) 

 

Inventario

L’inventario di Santa Maria degli Angeli rappresenta l’edizione, con trascrizione e traduzione a fronte, di un manoscritto in lingua spagnola dell’ultima decade del Settecento. Si tratta di un documento che, insieme ad altri due manoscritti in spagnolo, relativi ai confini del villaggio di Perfugas e all’inventario della chiesa di San Giorgio Martire o de Ledda già pubblicati dal curatore, documenta un uso del castigliano scritto che si protrasse per circa un secolo dopo la fine della dominazione spagnola in Sardegna. L’opera rappresenta una fonte per la conoscenza, oltre che della storia locale, della circolazione linguistica nella Sardegna settentrionale durante la seconda metà del XVIII secolo. 

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5Per la riedizione del Condaghe di San Michele di Salvennor (Rivista Italiana di Onomastica, 17 (2011), 2)

ABSTRACT.(For a new edition of the “condaghe” of San Michele di Salvennor) The “condaghe” of San Michele di Salvennor stands out among analogous medieval codices being a Spanish translation dating back to the end of the 16th century, whereas the original went lost. The article focuses on some problems about a series of toponyms that have not been solved even in the last edition. In particular, the author’s attention is directed to the clarification of the meaning of some forms attested in four cards written in Sardinian, found some years ago. The nature of hispanicism of some geographical names that the editors of the last edition consider Sardinian is also explained.

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N.B.: Il Condaghe di San Michele di Salvennor è stato edito nel 2012 per i tipi della casa editrice Condaghes di Cagliari ed è disponibile nel circuito commerciale.

C23

 

 

La carta 23r in sardo del Condaghe di S. Michele di Salvennor 
(Secciòn Nobleza, Archivo Històrico Nacional, Toledo, Spagna) 

 

                                   

L'abbazia di San Michele di Salvennor 

Csms immagini 006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6Il testamento di Leonardo Tola, documento in sardo logudorese del 1503

Fino ad oggi lo studio della lingua sarda si era incentrato su rare fonti medioevali. In questo caso l'analisi riguaTestamentorda un testamento dell'inizio del XVI secolo, relativo a Leonardo Tola, personaggio tra i più rappresentativi della storia isolana tardo-medioevale. Il documento riveste una importanza non secondaria per lo studio dei caratteri del sardo logudorese postmedievale e moderno. Inoltre, l'esame filologico e linguistico del testo unito alla estrapolazione di elementi di carattere storico, topografico, toponomastico, onomastico, genealogico e di microstoria locale consente di ricostruire anche il preciso contesto geo-urbanistico cui si riferiscono i dati contenuti nel documento. 

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7. Il Condaghe di Luogosanto  

"Il ritrovamento del Condaghe di Santa Maria di Luogosanto, di cui sino ad oggi si aveva solo memoria, offre la possibilità di accostarsi con rinnovato interesse alla tradizione concernente la venuta dei Francescani in Sardegna, nei primi decenni del XIII secolo, e le origini del santuario dedicato alla Vergine. Lo studioso Graziano Fois, che ha condiviso con Mauro Maxia l'edizione di questo testo, ha identificato una copia dell'antico documento  sardo logudorese fra le carte manoscritte del Fondo Sanjust, conservato presso la Biblioteca Comunale di Cagliari".

Graziano Fois ha curato la prima parte, da pag. 19 a pag. 202.

Mauro Maxia ha curato l'edizione filologica del documento, con commento linguistico e glossario, da pag. 203 a pag. 266.

Il volume si può leggere premendo su questo collegamento: Condaghe 20di 20luogosanto compressedCondaghe 20di 20luogosanto compressed (dimensioni 2.28 MB). 

Il documento si può leggere anche sul sito della Biblioteca Digitale Sarda curato dalla Regione Sardegna attivando questo altro  collegamento: http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=530366 (dimensioni 20,47 MB).

 

 

 

 

Data ultimo aggiornamento: 28/11/2021