INTERVENTI - INTERVENTOS
[in allestimento - contivigende - work in progress]
INDICE
1. Ricordo di Massimo Pittau
2. InterventI del prof. Massimo Pittau
3. Intervista della rivista Perle di Ipazia
4. Ricordo di Tullio De Mauro, Aldo Luigi Prosdocimi, Heinz Jürgen Wolf ed Eduardo Blasco Ferrer
5. Chirchende felicidade pro custa isula
6. La "Buona scuola" e le lingue minoritarie
7. Un'istatutu sena limba?
8. Qual è il vero sardo?
9. Ammentu pro Antoni Buluggiu
10. Paraulas a su bentu
11. Petru Giovacchini e il sogno sfumato
12. Un'amigu si nd'andat
1. Ricordo di Massimo Pittau
La Rivista Italiana di Onomastica nel primo numero del 2020 ha pubblicato un mio ricordo del prof. Massimo Pittau, venuto a mancare il 20 novembre 2019. Mi è sembrato doveroso descrivere la figura dell'uomo e lo studioso, la cui produzione resterà difficilmente uguagliabile in termini di argomenti toccati e volumi e saggi pubblicati. Per leggere l'articolo premere sul seguente collegamento: Rion ricordo di massimo pittau 1 (153.26 KB)
Questa foto inedita (eseguita da Alessandro Piga) risale al 2013 quando col prof. Pittau andammo a Erula per la presentazione di un libro. Lui allora aveva 93 anni ben portati e, stando seduti al tavolino di un bar, si parlava del fatto che Erula fosse un paese di centenari. Proprio in quel momento sbucò la vecchietta che si vede nella foto con lui. Quando il professore seppe che quella signora era centenaria si alzò di scatto e andò a parlarle. Lei cercò di schermirsi da quello che forse le sembrava un tentativo di attaccare bottone da parte di uno sconosciuto. Ma poi si lasciò andare e i due chiacchierarono per un po’ scambiandosi delle reciproche impressioni. Ecco, si può dire che questa foto ritragga in pieno l’uomo Massimo Pittau. Una persona estremamente curiosa che non esitava a intervistare chiunque potesse soddisfare certi quesiti che gli venivano in mente. Così come non esitava ad alzare la cornetta del telefono e a contattare persone del tutto sconosciute – magari residenti a Sliqua o a Esterzili – per conoscere l’esatta pronuncia del loro cognome. Conobbi Massimo Pittau nell’autunno del 1975 quando iniziai a frequentare le sue lezioni di Linguistica Sarda. Ma posso dire che lo conoscevo già da prima perché nel 1973 avevo acquistato un suo libro, ormai quasi introvabile, intitolato “Sardegna al bivio”. Un libro che ha inciso profondamente sulla mia formazione grazie alle sue acute osservazioni riguardo alle cause che erano, e sono tuttora, alla base dei gravi problemi di ordine culturale che affliggono la nostra Isola. In seguito sostenni con lui ben quattro esami e decidemmo il titolo della mia tesi di laurea. Per qualche anno ci perdemmo di vista. Ma dopo che ci ritrovammo, a un convegno di studi nel 1992, non ci siamo più allontanati stringendo un’amicizia forte e affettuosa. Lui insistette a lungo perché ci dessimo del tu. Ma io non ci sono mai riuscito sia per il livello dell’uomo sia per la sua età. E, come facciamo noi sardi con le persone più anziane, da allora e fino alla fine lo chiamai sempre “tziu Màssimu”. E lui stesso, nelle centinaia di e-mail che ci siamo scambiati per parecchi anni, si firmava volentieri “tziu Màssimu”. Si potrebbe parlare a lungo di momenti felici trascorsi a Sassari, Nuoro, Olbia, Ozieri, Castelsardo, Perfugas, Sedini, Florinas, Luogosanto, Palau, Tempio, Erula, Oschiri, Isili e in varie altre località in cui presentammo dei libri o prendemmo parte a convegni.
Conobbi Massimo Pittau anche in momenti di grande dolore che lo segnarono profondamente e nelle occasioni in cui si lamentava per la salute che pian piano lo stava abbandonandolo. Ma fu sempre forte e lucido fino all’ultimo. Per me è stato un maestro sia negli studi sia nella vita. E di questo gli sarò grato per sempre. Da lui ho appreso il senso della franchezza, della lealtà, della generosità, della rettitudine e dell’onestà intellettuale. Posso testimoniare che Massimo Pittau è stato, in tutti i sensi, una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto. È stata una grande fortuna conoscerlo personalmente e a lungo. Per me è stato veramente il “Massimo”.
Mauro Maxia
Il 2 febbraio 2018 sul giornale La Nuova Sardegna apparve un mio lungo servizio relativo ai cognomi dei sette candidati alla carica di presidente della Regione. Paolo Maninchedda, unico tra tutti i candidati, scrisse una lettera polemica al giornale per contestare una mia interpretazione (peraltro tratta dal Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda fraseologico ed etimologico del prof. Massimo Pittau) usando un tono inadeguato. Io replicai garbatamente e, per chiarire che l’interpretazione dei nomi propri è una materia che richiede una certa metologia nell'indagine e nell'interpretazione, accennai a mia volta a una svista di Maninchedda riguardo all’antico nome geografico sardo “patata” di cui tutti gli studiosi conoscono il significato di “piccolo altipiano”. Sull’argomento è poi intervenuto anche il prof. Massimo Pittau rimproverando a Maninchedda di avere trascurato gli studi a causa del suo impegno in politica. Quest’ultimo ha nuovamente replicato, stavolta sul suo blog, usando parole ancora più pesanti, al limite della denigrazione, al quale è seguita una altrettanto dura replica del prof. Pittau che si trova nella rubrica “INTERVENTI-INTERVENTOS”. Il medesimo testo è pubblicato sul sito dell'Accademia sarda di storia cultura e lingua (http://www.accademiasarda.it/).
2. InterventI del prof. Massimo Pittau
I seguenti interventi del prof. Massimo Pittau, decano dei linguisti sardi, si inseriscono nella polemica aperta dal prof. Paolo Maninchedda riguardo alla possibile origine e al significato del suo cognome. Quest'ultimo sul suo sito web ha rincarato la dose rivolgendo valutazioni inappropriate sia al prof. Massimo Pittau sia al sottoscritto per via di un articolo apparso su La Nuova Sardegna il 2/2/2019 riguardo ai cognomi dei candidati alla presidenza della Regione Sardegna. Gli interventi qui riprodotti riflettono esclusivamente le opinioni del prof. Pittau mentre il pensiero dello scrivente è espresso negli interventi che il lettore può leggere nella relativa pagina di Facebook.
1) I chiarissimi professori
Chiedo scusa ai lettori perché so di annoiarli, ma non si deve mai tralasciare di mettere i puntini sulle /i/. Il chiarissimo professore Paolo Maninchedda ha anche fondato una rivista intitolata “Bollettino di Studi Sardi”, della quale ha nominato pure il direttore, l’altro chiarissimo professore Giovanni Lupinu. Al quale però ha imposto di non accettare miei scritti e di neppure nominarmi mai. E sono stati molto onesti il prof. Manichedda e il prof. Lupinu nei miei riguardi, dato che io sono il linguista che ha scritto sulla lingua sarda più di tutti gli altri presi assieme, molto più dello stesso grande Max Leopold Wagner, mio amico personale....
Massimo Pittau Professore Emerito di Linguistica Sarda.
2) "Il Salvatore della Patria"
Si è addossato la missione di “Salvatore della Patria” il prof. Paolo Maninchedda in Sardegna, distogliendosi però dal dovere istituzionale di allargare e approfondire la propria disciplina, la Filologia Romanza. Infatti: 1) Egli ha preteso di pubblicare l’edizione critica del Condaghe di S. Michele di Salvennor espungendo il vocabolo ‘patata’ che non ha saputo interpretare, mentre tutti i linguisti e geografi sardi da una settantina d’anni sappiamo che significa “piccolo altipiano”. In realtà questo suo errore rappresenta soltanto uno dei numerosi svarioni in cui è incorso nella sua opera. 2) In tutte le discipline gli scienziati procedono spesso a cambiare opinione su una loro ipotesi iniziale; ed allora perché definire “fantalinguistico” il mio cambiare opinione sul sardo tzikki ‘pane speciale delle feste’? Evidentemente il Maninchedda non conosce il valore esatto del prefisso ‘fanta-‘. 3) Egli insiste nel chiedere perché un appellativo si trasformi prima in ‘soprannome’ e dopo in ‘cognome’, mentre tutti gli specialisti di onomastica sappiamo che nel mondo esistono milioni di appellativi trasformati in ‘soprannomi’ e in ‘cognomi’, anche se nella massima parte dei casi soltanto di pochissimi conosciamo l’occasione e la ragione della imposizione del soprannome. 4) Agisce con disonestà professionale nei miei riguardi quando della mia definizione della etimologia del suo cognome fa riferimento ad una sola sua parte, ma trascura a ragion veduta l’altra che è chiaramente esposta nel mio vocabolario. 5) Agisce ancora con disonestà professionale nei miei riguardi quando invita il prof. Mauro Maxia ad andare a leggersi i vocabolari dello Spano, del Casu e del Puddu, compilati da semplici lessicografi, e non il mio «Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico» (Selargius 2014) compilato da uno specialista. 6) Il prof. Maninchedda inviti il suo servitorello e schiavetto a starsene da parte e assolutamente zitto; altrimenti parlo io.
3) Potere e scienza
L’on. Paolo Maninchedda è nel Consiglio Regionale da almeno una quindicina d’anni e quindi logicamente ha fatto la sua regolare fortuna economica ed ha risolto nel migliore dei modi il problema della sua pensione. Però ha pure registrato una logica contropartita: ha chiuso in ampia misura la porta della sua disciplina di docente universitario, la ‘Filologia Romanza’. In questo quindicennio sulla sua disciplina ha scritto soltanto piccoli e poco significativi saggi. Però di tanto in tanto enuncia lapalissiani elogi del grande linguista tedesco Max Leopold Wagner, autore – fra l’altro – del bellissimo «Dizionario Etimologico Sardo», ma insieme mostra di ignorare che un docente di ‘Linguistica Sarda’ ha pubblicato un suo ‘Nuovo Vocabolario di Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico’ (NVLS, Selargius 2014) che presenta 7 mila lemmi più di quello del Wagner; che si è interessato a fondo di antroponomastica e di toponomastica della Sardegna, campi quasi del tutto trascurati dal Wagner; ormai è il linguista che ha scritto sulla lingua sarda più di tutti gli altri linguisti presi assieme.- Il Maninchedda poi tratta con un “tono sguaiato e spocchioso” un suo collega Filologo, prof. Mauro Maxia, il quale è stato vincitore a pieni voti di un concorso nazionale della cui commissione faceva parte anche un membro europeo della celebre università tedesca di Heidelberg ed inoltre i cui scritti vengono regolarmente accolti e pubblicati da prestigiose riviste europee. Ma era ovvio che avvenisse così: chi segue la via del potere e della ricchezza, è logico che finisca col disertare la via della scienza.
3. Intervista della rivista Perle di Ipazia
Nel suo ultimo numero (2018/4) la rivista Perle di Ipazia, periodico dell'editrice Ipazia Books di Dublino, mi ha intervistato riguardo ad alcuni argomenti sempre attuali tra cui la trasmissione del sardo in famiglia, il bilinguismo, le prospettive per una reale pari dignità del sardo con l'italiano e le questioni che ruotano attorno ai possibili modelli per una lingua sarda ufficiale. Il testo dell'intervista si può leggere premendo questo collegamento: Perle di ipazia 4 march april 2018 compressed (1.35 MB)
4. Ricordo di Tullio De Mauro, Aldo Luigi Prosdocimi, Heinz Jürgen Wolf ed Eduardo Blasco Ferrer
Nell'ultimo numero della Rivista Italiana di Onomastica (2017-1) sono usciti alcuni Ricordi che riguardano le figure di quattro grandi studiosi scomparsi di recente. I visitatori interessati li possono leggere premendo su questo collegamento: Rion 2017 1 ricordi (267.6 KB)
5. Chirchende felicidade pro custa isula
Sa coerentzia cun sos ideales politicos sovranistas diat poder aberrer una istajone noa de felicidade. Ma sunt sos fattos chi contant e chiesisiat podet bider chi, mentres dae una parte si preigat sa libertade, dae s’attera si puntellat un’amministratzione regionale chi paret contra a cussa libertade. In limba nostra custu si narat a tenner duas caras. Si si ponet sa giae de sa felicidade in busciaccas anzenas non si podet isperare abberu in una istajone noa.
Pro bider tottu si sigat custu culligamentu Chirchende felicidade pro custa isula 1 (127.07 KB)
6. La "Buona scuola" e le lingue minoritarie
La tanto criticata legge di riforma della scuola, etichettata come "Buona scuola", pur tra tante contraddizioni e forzature potrebbe dare qualche risposta proprio là dove la legge regionale n. 26/1997 e la legge n. 482/1999 hanno clamorosamente fallito. Per leggere l'articolo premere questo collegamento Buona scuola e lingue minoritarie compressed (339.45 KB)
7. Un'istatutu sena limba?
Sa relata si referit a un'abboju de istudiu de su 2013 intitulatu Limba sarda e istatutu. Una versione in forma de artìculu si podet bìdere in su nùmeru 65 de sa revista LogoSardigna (1-2015) chi est in sas èdiculas. Pro bìdere sa relata Unu istatutu sena limba compressed (2.24 MB)
8. Qual è il vero sardo?[1]
Nella ormai quarantennale disputa che vede impegnato un settore ideologizzato della cultura nostrana contro la promozione della lingua sarda rintocca come una campana il seguente quesito-ritornello: “qual è il vero sardo?”, “qual è la vera lingua sarda?”.[2]
Sono quesiti strumentali che vengono riproposti da chi vorrebbe mettere in evidenza la presunta inesistenza di una lingua sarda unitaria. Come conseguenza di questo preteso assioma, essi vorrebbero scoraggiare coloro che si sforzano di promuovere il sardo, instillando dubbi e favorendo divisioni che finiscono col ripercuotersi anche sul dibattito politico e, soprattutto, sulle possibilità che il sardo e gli altri idiomi sub-regionali possano essere introdotti, nel rispetto di quanto prevede la normativa di settore (L. 482/1999), come materia di insegnamento nelle scuole e anche come lingue di insegnamento.
Chi ripropone il quesito “quale lingua sarda?” dimentica che la Sardegna ha, non uno, ma ben due “inni nazionali” in lingua sarda. Il primo, di contenuto politico, è il celebre testo settecentesco Su patriotu sardu a sos feudatarios, detto anche la “Marsigliese Sarda”, conosciutissimo nella versione cantata col titolo di Procurade de moderare, e tradotto nelle più importanti lingue straniere fin dall’Ottocento.[3] L’altro inno, di contenuto religioso, è l’ancora più famoso testo Deus ti salvet Maria, ugualmente settecentesco, che alcuni stranieri definiscono “una delle più belle preghiere del mondo”.
Questi due testi, insieme ad altri testi cantati in tutta l’Isola, sono sentiti come propri da tutti i sardi. Non solo, essi sono interpretati anche da famosi artisti internazionali.
Ora, se il citato inno religioso è scelto puntualmente per omaggiare i papi e per essere cantato nei maggiori luoghi di pellegrinaggio del mondo, non vi può essere alcun dubbio che in esso si riconosca l’intero popolo sardo. Del resto anche l’inno del Regno di Sardegna (Cunservet Deus su Re), prima che da esso nascesse il futuro stato italiano, fu composto in sardo dal cagliaritano Vittorio Angius. Ed è un’autorità come l’altro cagliaritano Giulio Paulis a indicare, nei suoi interventi, come la forma di questi testi rappresenti da secoli un riferimento per chi scrive in sardo.[4] Come pure costituiscono un sicuro riferimento importanti opere letterarie, per esempio Po cantu biddanoa di Benvenuto Lobina che rappresenta il capolavoro della letteratura sarda contemporanea.
La lingua sarda, come tutte le lingue, è costituita da numerose varietà e, in particolare, da due grandi varietà che tradizionalmente sono definite “logudorese” (al centro-nord) e “campidanese” (al centro-sud). Tra queste due varietà, specialmente nella loro veste letteraria che ha espresso anche opere di valore universale, le differenze sono minime, tant’è che partendo dal “logudorese illustre” e dal “campidanese illustre” un’operazione di normalizzazione presenterebbe forse meno problemi rispetto ad altri percorsi che si sono scelti fino a questo momento. E ancor meno ne presenterebbe se a base della normalizzazione si prendesse la lingua della celebre Carta de Logu riadattandola alle esigenze odierne sul piano lessicale. Questo monumento di civiltà giuridica rappresentò lo standard linguistico del Regno di Sardegna per oltre quattro secoli, cioè fino a quando fu sostituito dalla amministrazione savojarda[5] con lo Statuto Albertino (1827). La lingua della Carta de Logu, grazie anche alla progressiva standardizzazione attuata dalle autorità durante l’Età Moderna, attraversò l’intera dominazione catalana e spagnola e il primo secolo di quella piemontese. Soltanto con la sua abolizione e l’imposizione forzosa dell’italiano cominciò il processo di frantumazione dialettale che è continuato fino ad oggi. Processo che costituisce la principale motivazione per cui il sardo non è più insegnato in famiglia e appare avviato verso l’estinzione.
Le differenze tra il logudorese e il campidanese, comunque, più che il lessico riguardano alcuni fatti morfologici. Nella prospettiva di una standardizzazione basata su queste due varietà bisognerebbe prevedere una certa variabilità come momento irrinunciabile ancorché transitorio. Dovrebbe essere l’uso, poi, a decretare quali possano essere le soluzioni più adatte, dell’una e/o dell’altra varietà, per dare vita a una forma comune e accolta come tale.
Sul piano fonetico e sintattico, invece, queste due varietà sono pressoché sovrapponibili dal momento che sia nell’una sia nell’altra i fenomeni più significativi si ripetono quasi senza variazioni apprezzabili. Anzi, la forza espressa dalla lingua che le tiene unite attraverso la fonologia e la sintassi è tale da essersi propagata anche ad altre lingue sub-regionali, in particolare il gallurese e il sassarese. Si tratta di lingue che, essendo presenti in Sardegna ormai da sei-settecento anni, hanno acquisito dal sardo un gran numero di fenomeni grammaticali e rilevanti quote di lessico.
Queste varietà una volta radicatesi nell’Isola subirono un forte influsso da parte del sardo che per tutta l’Età Moderna fu lingua dominante sul piano della comunicazione orale e attraverso il codice legislativo rappresentato dalla Carta de Logu. Il gallurese e il sassarese ne furono permeati a tal punto che presentano una sintassi più vicina al sardo che all’italiano. Su questo argomento e su tutto ciò che riguarda le varietà sardo-corse lo scrivente è impegnato da molti anni e ha in preparazione un volume riguardante la morfologia e la sintassi dopo quello sulla fonetica storica pubblicato nel 2012.[6]
Per rendersi conto della situazione in parola è sufficiente osservare anche a livello empirico i caratteri dell’italiano regionale di Sardegna (IRS) che si presentano abbastanza uniformi sia che la varietà soggiacente sia il sardo sia che essa corrisponda a una delle suddette lingue sub-regionali.[7] In questa sede si daranno soltanto pochi esempi attraverso i quali anche il lettore profano può apprezzare l’entità dei fenomeni.
1. Fonologia. Sul piano fonologico l’unitarietà del logudorese e del campidanese sono dimostrate, tra l’altro, dalla legge della metafonesi. Essa prevede che le vocali e, o quanto precedono una vocale di timbro chiuso (cioè le vocali i, u o le stesse e, o purché di timbro chiuso) si chiudano a loro volta passando anche esse a i, u.[8] Per esempio, l’aggettivo béllu al singolare ha la vocale tonica di timbro chiuso sia in logudorese sia in campidanese. Al plurale, invece, la stessa vocale ha timbro aperto per effetto dell’apertura della vocale successiva; perciò abbiamo bèllos in logudorese e bèllus in campidanese. La dimostrazione dell’originaria unità delle due varietà è data dal fatto che, sempre per la metafonesi, il campidanese avrebbe dovuto avere béllus con la vocale di timbro chiuso a causa della chiusura della vocale successiva ossia la u. Il fatto che la norma della metafonesi non funzioni e che la vocale tonica rimanga invariata mostra come in origine anche il campidanese dovesse uscire col plurale in –os (Wagner, Fonetica storica del sardo, 31).
Lo stesso discorso vale per un altro aggettivo come il logudorese bène e campidanese bèni. In questo caso, al plurale il logudorese ha bènes e anche il campidanese presenta la vocale aperta con bènis anziché bénis.Questi esempi si possono ripetere centinaia di volte senza che il risultato cambi, tanto che assumono la valenza di una vera e propria norma di fonetica storica.
Questo per quanto riguarda il sardo. Se passiamo all’italiano regionale sardo (IRS) vedremo che questa norma agisce anche sull’italiano parlato dai sardi determinando la chiusura o l’apertura della vocale tonica in dipendenza del timbro della vocale successiva. Per esempio, se prendiamo una parola come il nome Alberto vedremo che in sardo la vocale tonica è aperta [albèrto] per effetto dell’apertura della vocale successiva ossia della o. Si tratta della stessa pronuncia prevista dalla lingua italiana. Se invece pronunciamo questa parola al plurale, cioè Alberti (che è anche un cognome), ci accorgeremo che la vocale tonica non è più aperta ma chiusa [albérti] per effetto della chiusura della vocale successiva ossia la i. L’italiano, al contrario, in quanto non conosce la metafonesi prevede anche al plurale la stessa pronuncia del singolare. Perciò in italiano la pronuncia di Alberti corrisponde propriamente a [albèrti] con la tonica aperta, dunque in modo opposto al sardo e all’italiano regionale sardo.
Se passiamo al gallurese e al sassarese potremo vedere che anche essi, in quanto condividono gran parte delle norme fonetiche con l’italiano, non conoscono la metafonesi. Se prendiamo una parola come ‘certo’, al singolare in gallurese abbiamo cèltu e in sassarese zèsthu (pronunciato [ˈʦɛɬtu] e al plurale abbiamo gallurese cèlti e sassarese zèsthi (pronunciato [ˈʦɛɬti]. Dunque in gallurese e sassarese l’apertura della vocale tonica rimane invariata in modo analogo all’italiano e diversamente da quanto avviene in sardo.
Ma se passiamo all’italiano regionale sardo potremo osservare un sorprendente fenomeno che determina anche nei galluresi e nei sassaresi la chiusura della vocale tonica quando preceduta da i, u. Infatti sia in gallurese sia in sassarese anziché avere la pronuncia di tipo italiano (cèrti) si ha la pronuncia di tipo sardo (cérti). Questo avviene perché anche il gallurese e il sassarese, pur essendo delle varietà di matrice italiana, per una serie di fenomeni fonetici e sintattici si sono sardizzate, cioè hanno acquisito fenomeni peculiari del sardo perdendo quelli previsti dall’italiano.[9] Ecco perché definiamo queste varietà con l’aggettivo “sardo-corso” e non le definiamo dialetti italiani o corsi tout-court come fanno ancora alcuni che continuano ad etichettare in tal modo queste nostre importanti varietà storiche sub-regionali.
2. Sintassi. Sul piano sintattico possiamo fare un esempio molto banale e noto a tutti. Prendiamo una frase interrogativa diretta come quella che corrisponde all’italiano ‘vieni?’. Il sardo presenta in logudorese la frase benzende ses? e in campidanese benendi sesi?. Anche il gallurese e il sassarese adottano questa struttura e presentano entrambi vinendi sei? Lo stesso fenomeno si osserva anche nell’italiano regionale sardo. Infatti, sia i sardofoni sia i galluresofoni sia i sassaresofoni non dicono vieni? come prevede l’italiano comune bensì dicono venendo stai? oppure venendo sei? così come prevede il sardo. Questo esempio mostra come parlando in italiano i sardi in generale, pur esprimendosi con parole italiane, impiegano le strutture grammaticali del sardo e questo vale anche per i sardi italofoni monolingui, cioè che parlano soltanto in italiano. Gli esempi possono essere tantissimi e tutti confermano questa realtà che è conosciuta dagli studiosi mentre è poco nota a un livello più generale.
Questi esempi confermano l’unitarietà della lingua sarda che si espande fino a inglobare, per non pochi versi, anche il gallurese e il sassarese evidenziando, sempre dal punto di vista sintattico, l’esistenza di strutture condivise che la gran parte degli utenti non si rende conto di usare ma che, comunque, viene a galla continuamente sia che si parli in sardo sia che si parli in gallurese o sassarese sia che si parli in italiano.
Non ci soffermeremo qui sulla enorme importanza che questi fenomeni hanno nella vita pratica di molti sardi e specialmente degli studenti il cui insuccesso scolastico (il più alto d’Italia) spesso si deve proprio alla mancata distinzione delle soggiacenti strutture del sardo quando si parla e soprattutto quando si scrive in italiano.[10] Ecco un altro motivo per cui lo studio del sardo e delle altre lingue sub-regionali dovrebbe essere reso obbligatorio a scuola. La scuola non può limitarsi a bocciare gli alunni che non conoscono l’italiano. Essa, al contrario, dovrebbe insegnare bene agli alunni l’italiano insegnando anche a distinguere ciò che è italiano da ciò che è sardo. Ma per fare questo gli insegnanti dovrebbero conoscere bene non solo l’italiano ma anche il sardo.[11]
Dunque, l’uniformità di cui si diceva è conseguenza delle strutture sintattiche soggiacenti che, appunto, sono le stesse strutture sintattiche del sardo che, da questo punto di vista, rappresenta una lingua ben più unitaria di quanto non lo sia l’italiano rispetto alle proprie varietà dialettali. Purtroppo questa realtà sfugge, non solo al comune parlante, ma anche a taluni che influenzano i politici che, a loro volta, non sanno che decisioni prendere riguardo a problemi assai complessi. Tutto ciò perché alle questioni linguistiche spesso si è portati a guardare in modo epidermico anziché approfondito. Inoltre vi è chi per il solo fatto che sa parlare il sardo crede di potere argomentare su questioni non propriamente semplici. Questo accade anche perché in Sardegna prevalgono motivazioni di tipo sociolinguistico a causa delle quali si tende a porre in maggiore evidenza le divergenze rispetto alle convergenze. E all’evidenziazione delle divergenze, purtroppo, offre un grosso contributo proprio il settore ideologizzato di cui si parla all’inizio di questo breve contributo.
A questo ultimo proposito sarebbe interessante porsi questo altro quesito: qual è il vero italiano? Potrebbe sembrare una domanda oziosa dato che quasi tutti credono che esista una sola lingua comunemente intesa da chi la parla nelle regioni che costituiscono lo stato italiano. Le cose non stanno propriamente in questi termini perché, tralasciando per ora gli aspetti che riguardano i vari registri del parlato (diafasia), le varietà regionali in cui si articola l’italiano sono diverse e presentano notevoli variazioni, appunto, sul piano geografico (varietà diatopiche).
Da una regione all’altra l’italiano mostra differenze anche significative sui piani fonetico, sintattico, lessicale e della pronuncia, meno sul piano morfologico. Gli studiosi dividono in quattro gruppi principali gli italiani regionali associando ad essi un prestigio decrescente da nord a sud. Se vogliamo paragonare questa situazione dell’italiano a quella del sardo troveremo che tra l’italiano settentrionale e l’italiano meridionale vi sono differenze assai più marcate di quelle che si possono osservare tra il sardo logudorese e il sardo campidanese.
Il momento unificante dell’italiano, invero, è rappresentato dalla sua varietà letteraria che, basata sul fiorentino antico, ha dato origine alla lingua odierna passando attraverso travagliate fasi di standardizzazione che si sono protratte a lungo anche e soprattutto dopo la creazione dello stato unitario (1861).[12] Si può dire che l’italiano comune si sia affermato in questi ultimi cinquanta anni soprattutto grazie al ruolo omologante svolto dalla televisione.
Rispetto a questo quadro, la situazione attuale del sardo presenta una differenza costituita dal fatto che le sue due varietà letterarie non sono ancora pervenute a una forma sopravarietale. Infatti, sia il “logudorese illustre” sia il “campidanese illustre” sono ancora dotati di una propria autonomia benché le specificità non siano così vistose da non renderle perspicue alla generalità dei sardofoni. E questo nonostante che il sardo, diversamente dall’italiano, non sia insegnato a scuola e, dunque, gli utenti abbiano poche possibilità di accostarsi a testi scritti. Anzi, per il sardo si può dire che il ruolo positivo svolto dalla televisione a favore dell’italiano abbia avuto e ha un ruolo negativo in quanto la televisione favorisce l’abbandono delle lingue locali e dei dialetti per il fatto che ne sono quasi del tutto esclusi.
E veniamo ora alle varietà diafasiche dell’italiano. Come è noto questa lingua, in modo non dissimile dalle altre lingue, specialmente le lingue cosiddette di cultura, presenta un ventaglio di registri piuttosto ampio. In alcuni casi non si può essere certi che gli interlocutori, di cui uno usi un registro formale e l’altro un registro basso, riescano a intendersi in modo soddisfacente e, comunque, non più di quanto si intendano i sardofoni tra loro. Si prenda ad esempio una frase come questa che è possibile sentire in certe rubriche televisive:
“I relatori si sono succeduti nel contesto della convention al termine della quale sono stati depositati i preprint contenenti gli abstract dei rispettivi contributi”.
Appare abbastanza evidente come non siano molti gli italofoni in grado di comprendere l’esatto significato della frase in questione. Nonostante la televisione costituisca il mezzo di maggior diffusione di messaggi verbali, in quanto rivolta a tutte le fasce di utenza di qualunque età, l’uso di anglicismi e tecnicismi è talmente frequente che spesso larghe fasce di utenti, anche di formazione media e medio-alta, non sono in grado di intendere compiutamente il contenuto dei messaggi che vengono loro rivolti.
Una situazione diversa, ma per certi versi analoga e ancora più frequente, è quella relativa a certi servizi televisivi durante i quali sono intervistate delle persone che, non sapendo parlare correttamente in italiano, lo fanno nel proprio dialetto (calabrese, napoletano, romagnolo, veneto ecc.). Ed è in casi come questi che ci si rende conto delle notevoli distanze che separano non soltanto alcuni dialetti italiani tra loro ma che li allontanano anche dalla lingua italiana comune.
Di fronte a situazioni come questa, che benché appena accennate mostrano l’estrema complessità della materia, vi è purtroppo qualcuno poco informato che sostiene che i sardofoni non si capiscano da una parte all’altra dell’Isola. E nella sua scarsa conoscenza della realtà non si rende conto che non sono poi così pochi gli italofoni che hanno difficoltà a capirsi tra loro.
(febbraio 2015)
Mauro Maxia
[1] Questo intervento riprende e sviluppa un paragrafo del saggio n. 8 (intitolato Un giallo linguistico) del libro Lingua e società in Sardegna di prossima pubblicazione.
[2] Su questo argomento si veda G. Paulis, La ricerca del “vero” sardo nella storia degli studi e nella formazione identitaria dei Sardi, in La legislazione nazionale sulle minoranze linguistiche. Problemi, applicazioni, prospettive, a cura di V. Orioles, Plurilinguismo 9, Udine 2003, pp. 239-246.
[3] Il testo Procurade de moderare barones sa tirannia, scritto nel 1795 dall’ozierese Francesco Ignazio Mannu, nel 1849 fu tradotto in inglese da John Warre Tyndale, nel 1864 in francese da A. Boullier e ancora nel 1979 in tedesco da B. Granzer e B. Schütze.
[4] Cfr. G. Paulis, Presentada, in G. Lilliu, Sentidu de libbertade, pp. 17; Id., “Varietà locali e standardizzazione nella dinamica dello sviluppo linguistico”, in Sa diversidade de sas limbas in Europa, Itàlia e Sardigna, pp. 179-184.
[5]
[6] Si tratta del volume Fonetica storica del gallurese e delle altre varietà sardocorse, Olbia, Taphros 2012. Sulla morfologia e la sintassi delle medesime varietà è in corso di edizione un saggio inserito in una pubblicazione internazionale.
[7] Su questo aspetto qualche accenno si può trovare nell’articolo “Italiano: lingua o dialetto?” che si trova online sul sito http://maxia-mail.doomby.com/pagine/lingua-sarda-limba-sarda.html#.
[8] M. L. Wagner, Fonetica Storica del Sardo, introduzione traduzione e appendice di G. Paulis, Cagliari, Trois 1984, 31-33.
[9] Per la descrizione dei fenomeni riguardanti la fonologia cfr. il volume Fonetica storica del gallurese e delle altre varietà sardocorse cit.
[10] Su questo problema si legga il citato articolo “Italiano: lingua o dialetto?”.
[11] Sui difetti delle istituzioni formative pubbliche in Sardegna si veda M. Pittau, Sardegna al bivio, Cagliari, Fossataro 1973, che già quaranta anni fa ne evidenziava le gravi responsabilità.
[12] Su questo aspetto la linguista Silvia Morgana osserva che “l’italiano altro non è che uno di quei dialetti che, a seguito di una laboriosa opera di pianificazione e standardizzazione, si è imposto nel corso dei secoli” (Breve storia della lingua italiana, Roma, Carocci, 2009).
9. Ammentu pro Antoni Buluggiu
Un’àteru amigu si nd’est andadu innantis de su tempus. L’apo ischidu oe non dae sos tìtulos de giornales o telegiornales ma dae sos necrològios de La Nuova Sardegna. In àteros tempos cun Antoni nos bidiamus meda ca sas ideas e s’impignu in polìtica fiant che pare. Ma creo chi cussas ideas siant isetadas gasi e totu pro ambos finas a s’ùrtimu, mancari s’atividade polìtica esseret minimada cunforma a vinti o trinta annos innantis. Antoni non fiat de cussos chi mudant sas ideas issoro. Sas suas non fiant ideas cale si siant ma ideales chi isetant finas cando unu detzidet de mudare su tipu de impignu. Difatis no aiat sessadu mai de peleare pro su riscatu de sa Sardigna e aiat detzisu de pònnere s’impignu suo in s’ativididade culturale prus che in sa polìtica de s’inconcludèntzia. E de custu impignu nde sunt testimòngios sa revista Camineras, chi l'at tentu comente fundadore e dae sèmpere unu de sos redatores, e finas unu romanzu in sardu essidu carchi annu faghet e intituladu Lughes umbrinas. Est cun custas òberas chi isse aìat seberadu de nàrrere a sos àteros sardos cale fiant sos valores e sas isperièntzias de tènnere in contu. Unu sero de pagos annos como in Tàtari aiamus arresonadu de comente fiant andende sas cosas e de sos disincantos chi a ambos nos aiant istesiadu dae unu tipu de polìtica chi in àteros tempos a issu che l’aiat fertu finas a èssere segretàriu de su Partidu Sardu. M’aiat dadu una còpia de su primu nùmeru de sa revista Camineras, chi tando fiat galu fata a s’antiga, cun una gràfica e unu tipu de pabilu chi ammentaiant prus sos ciclostilados de sos annos ’70 che una revista. E nde fiat cuntentu de cussu traballu nou mancari tando esseret unu pagu artisanale e diversu meda dae s’editzione bella abberu de s’ùrtimu nùmeru chi apo retzidu dae pagas dies. Si bidiat chi, a pustis de carchi anneu patidu, aiat agatadu una caminera noa in ue pònnere sas energias suas ca s’ideale, intames de minimare, sighiat a li dare una fortza chi li brotaiat dae intro. In prus de èssere istadu un’òmine deretu e unu mastru illuminadu, isse fiat unu chi creiat in sas capatzidades de sos sardos de resessire, mancari a tardu, a seberare una caminera de responsabilidade de los poder giùghere a si rèere de sesi, chentza amparos o istampellas, ca sa dipendèntzia polìtica tenet unu prètziu chi est pagadu dae sos sardos ebbia. Adiosu Antoni, reposa in paghe e chi sa terra ti siat lèbia. (26 de trìulas 2014)
Mauru Maxia
10. Paràulas a su bentu
Paràulas a su bentu (*)
“Cando si faeddat de limbas de minoria est semper utilosu a tucare dae sos pensos de Gramsci. Isse osservaiat cun acutesa chi cando si ponet sa chistione de sa limba si ponet una chistione polìtica. Pro cussu paret guasi un’infadu su de faeddare de s’istrumentu, est a nàrrere de sa limba, antis de su finis chi est e restat polìticu. Chie est a cuntierra pro sa limba est a cuntierra, mancari forsis non si nd’abbidat e totu, pro un’idea de Sardigna prus che pro sa limba e totu. A afrimmare su deretu de impreare sa limba sarda cheret nàrrere a afrimmare su deretu a guvernare s’Isula servèndesi de istrumentos chi, comente sa limba, sunt una parte e bia de s’identidade sarda. Sa limba, cheret naradu, no est che una cara de sa chistione prus manna e arraigada de sa dipendèntzia de sa Sardigna. Dae custu puntu de vista, su movimentu linguìsticu rapresentat forsis s’elementu prus abbistu de unu movimentu de ideas chi est essidu a pizu in sos annos ’70 de su sèculu coladu e chi dae tando dat a bìdere una crèschida sighida siat comente ispertesa e siat comente nùmeru. Ateras cumponentes de su movimentu, atiradas dae sos valores de fundu de s’identidade sarda, sunt impinniadas, pro esèmpiu, in s’avaloramentu de sos benes culturales o in sos grupos folklorìsticos chi la faghent gasi rica a sa Sardinnia in fatu de partetzipantes. In custos casos puru si tratat guasi semper de zòvanos.
Dae su movimentu de ideas tucadu unas deghinas de annos a como cun sa “iscoberta de sas raighinas” e chi s’est propostu contras a sa globalizatzione nde benit, de seguru, una dimanda de democratzia. Custa dimanda de democratzia in su chi pertocat a sa limba si traduit in una ispinta a opònnere, o a afianzare in fatu de bilinguismu, sa limba de sa traditzione a sa limba ufitziale. Sos chi non cunsiderant custu fenòmenu, ma finas chie non tenet sas matessi aspiratziones o desigiat àteros modellos de guvernu, tendet a si che pònnere in positziones chi medas bias cumparent cunservadoras e carchi borta finas reatzionàrias.
A su movimentu linguìsticu si li depet reconnòschere chi est portadore de una dimanda e de una proposta. E est custa sa novidade chi atirat medas zòvanos chi che sunt semper prus a tesu dae una polìtica tradizionale chi non si cumprendet prus, sende guvernada dae su desìgiu de si mantènnere e bia, serrada in totu a su chi est nou e a sos zòvanos.
Chirchende unu modellu bonu pro totus, su movimentu linguìsticu at isperimentadu solutziones chi no est semper chi ant agatadu cuncordu. E est inoghe chi si che tzacant cussos chi de continu chircant de lu ispartighinare finas cun arresonos chi semper de prus ammustrant s’istrumentalidade issoro. Mi relato a totu sas iscumbatas de opònnere s’inglesu a su sardu, comente chi unu che depat catzare a s’àteru antis de istare paris intre de una didàtica moderna impostada subra a su cunfrontu prus de s’iscrusione. Mi relato finas a s’idea chi bi diat àere cosas de prus importu de su sardu, prus de totu sa chistione de su traballu. Ma a custos non lis benit a conca mancu pro un’iscuta chi finas sa limba e sa cultura sarda oferint sa possibilidade de traballare a medas zòvanos calificados chi podent agatare un’impreu in s’insinniamentu o in s’avaloramentu de sos benes culturales, finas cussos benes immateriales chi tenent una parte manna in sas traditziones nostras.
In mesu a sos trastos de sos intelletuales anti-sardu b’est finas chie faeddat de “sardo di plastica” sena ischire chi pròpiu s’italianu est una limba de apostìgiu chi non currispondet a perunu logu, mancari tèngiat unu fundu in su fiorentinu antigu (literàriu), chi oe però est diversu meda dae s’italianu iscritu e faeddadu.
De custos tipos nde at faladu in campu finas pro iscumproare cuddu mètodu de su “divide et impera” chirchende de pònnere a pare sardòfonos e corsòfonos. Ma mancu cue bi sunt resessidos ca sos gadduresos e tataresos ant cumpresu chi sas tutelas pro sa limba issoro las tenent gràtzias a sa Regione Sarda (L.R. n. 26/1997) mentres sa normativa istatale (L. 482/1999) de su gadduresu e de su cossu mancu nde faeddat.
Chie tenet àteros modellos avantzet àteras propostas. Ma niune si podet permìtere de afeare su movimentu linguìsticu faeddende de “mortores de sa limba” o de “mastros malos”. Sas responsabilidades de sa crisi de su sardu, est cosa nòdida, sunt de sa classe polìtica mìope e de s’iscola chi finas oe est discriminende su sardu si est beru chi in tzertos istitutos prus de s’80% de sas famìlias ant pedidu s’insinniamentu de su sardu ma sena resessire a lu tènnere ca nachi non b’at mastros formados.
Si podet e si depet arresonare de totu. Però su determinu non podet èssere cussu de bullare malamente sos portadores de propostas ma cussu de sighire a arresonare chirchende de agatare s’acordu prus largu.
Non si depet ismentigare chi sa limba italiana s’est formada gràtzias a modellos literàrios antigos e chi li sunt servidos paritzos sèculos pro si pòdere afrimmare comente est oe. Pro resones chi in parte sunt sas matessi, s’istrumentu impreadu dae sa Regione Sarda tenet a riferimentu unu limbàgiu chi est servidu pro modellos literàrios de giudu finas dae paritzos sèculos. Ma niune at nadu chi custu modellu non si potat megiorare o chi non si potant seberare finas àteros modellos. Duas sunt sas cosa prus de importu: 1) chi totus sigant a faeddare su limbàgiu issoro pro mantènnere sa richesa de sos faeddos; 2) chi sa limba de riferimentu tèngiat unu matessi modellu cuncordadu pro chi servat a unire e no a dispartire, ne prus e ne mancu de su chi est pro s’italianu. Duncas, su cunfrontu si diat dèpere incaminare subra a custos fatos sena si pèrdere in positziones partizanas.
Bi est chie proponet de impreare s’istrumentu de sa limba italiana pro su fatu chi custa la connoschent totus, mancari su livellu de cumpetèntzia paritzas bortas siat menguante meda. Bi est finas chie proponet s’italianu faeddadu in Sardigna comente modellu, belle chi custu limbàgiu siat fìgiu de un’imparu linguìsticu sena cabu chi est portende a s’abbandonu de su sardu e est favoressende un’istrumentu linguìsticu meschinu e de prus pagu impitu de su chi si diat chèrrere remendare. In custa òtiga Angioni nos ammentat chi totus sas limbas sunt destinadas a mòrrere e a èssere mudadas cun àteras. Non b’at duda chi sa realidade siat custa e nde faghet testimonia finas su latinu chi pròpiu in Sardigna che imboleit sa limba de sos Sardos antigos. Ma chie proponet custos cunsideros non tenet in contu chi finas s’italianu est destinadu a iscumpàrrere e sos sinnos de sa crisi sua sunt semper prus ladinos peri s’intrada sena abbarru de trumadas de paraulas inglesas.
Su retore Mastinu ammentat sa traditzione de s’universidade sua in su chi pertocat a sa limba sarda e portat a bàntidu sa richesa linguìstica de su territòriu de riferimentu. Chissu era veru ill’anni passati, candu insembi a lu saldu in chissa universitai si insignàa e si faiddàani ancora lu gadduresu e alti faeddi. Ma abà?[1]
S’amparu de sa limba e de sa cultura nostra est una ispressione de desìgios democràticos de una parte de su pòpulu, pro su prus zòvanos, chi no atzetat prus modellos, islogans e cumandos calados dae artu dae chie sustenet su monolinguismu de istadu. Sa veridade est chi in sa pròpia minoria antisarda chi s’annidat in sas istàntzias de su podere bi nd’at medas chi sunt contra finas a su bilinguismu. Sunt frùngias veterocolonialistas foras dae su tempus chi non s’abbident chi finas sa Galbani at postu unu cuncursu chi prèmiat a cussos chi ischint su “dialetto”.
Sos atacos arrenegados contra a sos chi s’isfortzant de mudare su cursu de sas cosas ammustrant sa dificurtade issoro e s’alenu curtzu de chie bidet sa Sardigna cun ideas dipendentistas chi nos ammentant sa “unione perfetta” de su 1847. Un’idea chi paret semper prus dèbbile ca est bida comente unu mantenimentu e bia de su statu quo e ca non proponet nudda de nou. A sustènnere, comente faghet Angioni, chi sas limbas de minoria siant perdende totue est a non connòschere mancu sa realidade de domo nostra ca tenimus limbàgios comente su gadduresu e su tabarchinu chi sunt faeddados dae guasi totu sa populatzione de su logu cun puntas de su 90%.
Chie tenet interesse a cuncordare solutziones (e sa chirca sotziulinguìstica de su 2006 narat chi diant èssere tres cuartos de sos sardos) diat dèpere incaminare sas chistiones in formas de cunfrontu verdaderu e democràticu atzetende sos sèberos prus cundivisos chi nd’ant a essire a pìgiu”.
(*) Custu artìculu est su testu de un'interventu meu chi su giornale La Nuova Sardegna no at pubblicadu in mèritu a sa polèmica chi nd'est sighida a pustis de sa essida de su libru de G. Corongiu, "Il sardo una lingua normale".
[1] Sa frasa in gadduresu tenet sa funtzione de ammustrare comente immoe sa richesa linguìstica de su territòriu de referèntzia de s'universidade de Tàtari non siat abberu valorizada, màssimu dae cando, in su 2010, cussa universidade at burradu dai s'offerta formativa sua sos insinniamentos de Limba sarda e de Literatura sarda.
11. Petru Giovacchini e il sogno sfumato
Partendo da un suo breve scritto sulle tradizioni della Corsica, l'articolo cerca di mettere in luce la figura di Petru Giovacchini, personaggio di punta dell'irredentismo corso filoitaliano.
Per leggerlo è possibile collegarsi all'indirizzo dell'Accademia Sarda di Storia Cultura e Lingua http://www.angelinotedde.com/2013/11/petru-giovacchini-e-il-sogno-sfumato-di-mauro-maxia/ oppure premere questo link: Petru giovacchini e il sogno sfumato (97.06 KB)
12. Un'amigu si nd'andat
Ammentu pro Gianfranco Pintore
Si eo tèngio unos cumbinchimentos polìticos finas dae cando fia piciocu creo chi una parte manna siat de reconnòschere a Gianfranco Pintore. In 1974, cando esseit “Sardegna: regione o colonia?”, in medas aìant criticadu custu anticipadore de is tempos ma a mie sas cosas mi s’ammustreint prus craras. Pro tempus meda Pintore est istadu pro me unu puntu de riferimentu, finas a cando m’est cumbinadu de nos connòschere de persone. Arresonende cun isse de chistiones de Sardigna e de sa limba nostra, m’est bènnidu finas fàcile a li nàrrere chi cando fia piciocu isse pro me fiat unu mastru. Un’annu faghet, bidende chi non fiat bènnidu a una cunferèntzia subra a sa limba, aìa dimandadu de isse e gai aìa ischidu chi fiat gherrende contra a unu male malu. Li imbiei paritzas paraulas pro li nàrrere ca teniamus bisòngiu de issu. Si nde cuntenteit meda.
Su 24 de cabidanni Gianfranco si nd’est andadu dèndemi unu dispraghere mannu. Regalu peus de custu non nde podìa retzire propiu in sa die chi lompo is annos. Ma est guasi unu consolu pro me su de ischire chi in custa die m’at a esser prus fàcile a m’ammentare custu amigu chi m’at insinniadu valores mannos.
[25/9/2012] Mauru Maxia
Data ultimo aggiornamento: 03/03/2021